prima guerra mondiale
Ed. Keller, trad. Franco Filice,
pagg. , Euro 17,00
Inizia dalla fine, il romanzo basato su un frammento
di storia vera dello scrittore svizzero Alex Capus. Inizia con un uomo, Anton Rüder, che giunge in vista dei binari di
una ferrovia. Sono dieci giorni che fugge nella savana. E’ stremato. Sente
odore di pappa d’avena. Neppure vede i soldati inglesi intorno al fuoco. Si
precipita sul pentolone, fugge, si inciampa, cade, lecca il cibo che si è
rovesciato addosso, piomba nel sonno: sappiamo che è vivo, che questo
personaggio che ancora non conosciamo deve essere sopravvissuto ad una
terribile avventura. Ci prepariamo a leggerla.
E’ il novembre del 1913 e tre maestri
costruttori di navi ricevono l’ordine dell’Imperatore Guglielmo di smontare la
nave a vapore Götzen, trasportarla nelle colonie tedesche dell’Africa orientale
e rimontarla sulle sponde del Lago Tanganica. E’ un lavoro ben pagato, i tre
staranno lontani da casa per un annetto, ne vale la pena.
La narrazione segue questi due filoni e il
tono di ognuna è molto diverso. Quando i tre tedeschi arrivano in Africa, un
nuovo mondo si spalanca davanti a loro- si scontrano con la rigida disciplina
dell’esercito (il tenente capitano von Zimmer è decisamente antipatico e
arrogante), vedono (e non approvano) l’atteggiamento colonialista, imparano ad
apprezzare la natura selvaggia, il cibo, la compagnia di quegli uomini (e anche
delle donne) che hanno la pelle diversa da loro ma con cui si intendono
benissimo. E si crea una spaccatura: gli indigeni disprezzati e trattati come
esseri inferiori da von Zimmer e da coloro che questi rappresenta, rispettano e
diventano amici dei tre lavoratori tedeschi. Davanti alle lacrime di Anton Rüder, sconvolto dalla sua prima esperienza di guerra, l’elegante
guerriero Masai dice: lascialo piangere.
Ogni giovane guerriero dopo la prima battaglia è addolorato per aver perso
l’innocenza. È un fatto normale e necessario. E dopo, E’ sbagliato mandare in guerra dei costruttori di navi: siete dei bravi
operai, non guerrieri.
Il filone ‘inglese’ ha da subito un tono
fortemente ironico che sfocia nel comico. Perché Spicer-Simson è uno sbruffone
e un gradasso, è ridicolo nei suoi atteggiamenti e tale appare agli occhi degli
altri. Le sue imprese prima della spedizione in Africa lo coprono di vergogna,
tanto da venire destituito. Ma chi altro potrebbe accettare un incarico così
assurdo e disperato come quello che gli viene affidato? E qui Spicer-Simson si
riscatta. Non solo perché, nonostante le sue spacconate, dimostra di essere un
bravo comandante, ma anche perché si ridimensiona e, stranamente, il giudizio
che lui dà di se stesso cambia in maniera inversa a come cambia l’opinione che
gli altri hanno di lui.
“Una questione di tempo” è un libro che si
legge sospinti dal desiderio di sapere di più, di scoprire che cosa accadrà- e
questo è straordinario perché in realtà noi sappiamo dall’epilogo in apertura
che tutto finirà molto male. Ma vogliamo sapere come verrà orchestrata questa
guerra assurda da un lato e dall’altro del lago. Assurda perché- che cosa
stanno facendo tedeschi, belgi e inglesi sul Lago Tanganica? Che cosa ha a che
fare tutto questo con una guerra che si combatte a migliaia di chilometri da
qui, con accordi finali su cui ben poco influiranno una o due navi affondate
nel Lago Tanganica?
Piace l’atmosfera, piacciono i personaggi (anche quelli di colore), piace quel non so che di avventuroso, piace la comicità che trasforma la realtà in assurdo.
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Alex Capus sarà presente al Festival della Letteratura di Mantova
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