Vento del Nord
love story
Nelle occasioni come quella del
Salone del Libro di Torino, quando gli scrittori presenti sono tanti e le
interviste vengono fatte in un grande albergo, mi capita di fare un gioco con
me stessa, scrutando i volti e gli abbigliamenti delle persone che vedo intorno
a me, cercando di indovinare chi sia chi- molte sono facce note, molte sono
nuove, quali saranno gli scrittori o le scrittrici? Da dove verranno? Halldóra Thoroddsen non passava
inosservata, difficile capire il perché, difficile anche capire il paese di
origine, avrebbe potuto anche venire da uno dei paesi dell’Europa dell’Est. Un particolare
la tradiva: indossava uno spolverino leggero, troppo leggero per questo maggio
insolitamente freddo e piovoso. Si aspettava un clima più caldo? Oppure,
venendo dall’Islanda, per lei questo era già caldo a sufficienza?
L’amore in tarda età: perché
viene guardato con un filo di derisione? Di che cosa hanno paura i figli della
donna che è la protagonista del suo romanzo? Anche il figlio di Sverrir, quando
arriva dall’America, sembra guardare la donna dall’alto al basso, quasi fosse
una donna di strada.
Penso che l’immagine che abbiamo di una donna
anziana è quella di una nonna generosa. Non sappiamo che ruolo dare ad una
persona anziana, continuiamo a pensare che nella terza età non sia possibile
innamorarsi. Molto probabilmente siamo rimasti attaccati all’immagine che si
aveva di un anziano tanto tempo fa, quando era inconcepibile l’amore in tarda
età, avere ancora degli interessi da vecchi. E’ qualcosa di nuovo. Per il
figlio dell’uomo, che viene dall’America, la faccenda è ancora più complicata
perché sua madre è separata da suo padre, il protagonista maschile della
vicenda. Il figlio avverte una sorta di gioco di potere, nella sua testa
permane l’idea di una famiglia felice che non c’è più, anche se suo padre non
aveva mai chiarito la situazione, non aveva mai divorziato. Questo è un
dettaglio del carattere del protagonista- il non aver messo definitivamente
fine al suo matrimonio, il lasciare che sia la donna a gestire i sentimenti.
Per le generazioni più vecchie i sentimenti sono sempre affidati alle donne.
Perché la protagonista del libro non ha nome, mentre invece conosciamo
quello dell’uomo?
La protagonista del mio libro è la donna. Ho pensato che volevo mettere
non ‘una’ donna al centro del romanzo, ma molte donne. Ci deve essere un uomo
nella storia, se no non avrebbe senso, ma per questo l’ho lasciata senza nome:
perché volevo che lei fosse ‘l’idea’ della donna.
Dapprima la donna non vuole cedere a questo sentimento, poi accetta
l’invito di Sverrir. Che cosa le fa cambiare idea?
La donna ha la sua vita e deve scegliere se vuole vivere un certo tipo
di vita, la sua, o cambiare, per amore. Si deve fare sempre un sacrificio per
quello che vuoi o che ami e lei ha paura che, alla sua età, questo cambiamento
la disturberà troppo. Nella prima metà del libro c’è questo conflitto dentro di
lei: vuole e non vuole.
Prima di questo incontro, qualcuno dice alla donna che i vedovi leggono
sempre gli annunci mortuari per poi farsi avanti: sono meno capaci, gli uomini,
di cavarsela da soli? Lo sono per motivi pratici o perché devono sempre
esercitare il loro ego, comandare qualcuno, oppure perché hanno meno risorse
interiori?
Penso che gli uomini di quella generazione morirebbero davanti ad un
frigorifero, sono del tutto incapaci di fare qualunque cosa se erano abituati
ad avere una moglie. Di certo sono più incapaci delle donne. Quindi è prima di
tutto per motivi pratici che cercano una donna. È la donna che si prende cura
dei sentimenti, la donna è più equipaggiata per fare amicizie e mantenerle.
La prima volta che Sverrir si siede accanto alla donna per parlare, è
appena uscito dalla biblioteca e ha in mano “Morte a Venezia”. È un messaggio
per il lettore? Dobbiamo capire che Sverrir non
è un vedovo senza risorse ed è per questo che piace alla donna?
No, non c’è un messaggio speciale per il lettore. Ho cercato di far
capire che Sverrir è un uomo curioso della vita, che gli interessa la
letteratura. Mi piaceva il libro di Mann, mi piaceva la parola ‘morte’ nel
titolo. Sverrir non è così vulnerabile come tanti altri uomini, dopotutto era
un chirurgo, è abbastanza simile alla donna, anche se lei è più appassionata di
letteratura- è per questo che Sverrir piace alla donna. Sverrir è anche
piuttosto simile a suo marito nella maniera in cui lui non parla di sentimenti.
Entrambi sono semplici, non sono persone analitiche, sono pratici, un po’ come
tutti gli uomini, del resto.
Le ultime pagine del libro sono molto tristi. Ci sentiamo felici per la
luce che ha illuminato l’ultima parte della vita della donna. È uno dei
significati del libro, carpe diem,
afferra quello che la vita offre perché la fine di tutto si avvicina veloce?
All’inizio ho pensato alla tendenza che abbiamo di collocare tutto in
scompartimenti, nella vita: bambini- età di mezzo- posto di lavoro, e lasciamo
fuori gli anziani. Il sistema in cui viviamo crea anime sole e isolate.
Scrivendo questo libro volevo mostrare come viviamo in una società che ci mette
in scompartimenti e come invece dovremmo rimettere tutto insieme creando una
continuità. Dobbiamo cambiare la maniera di trattare le persone: gli anziani
hanno un ruolo, hanno i ricordi del passato, sarebbe bene che potessero parlare
con più persone. Avevo in mente un ideale di continuità e interezza, al posto
dell’isolamento di ogni fascia di età.
Pensa che questo isolamento degli anziani, questa loro mancanza di un
ruolo, si avverta in modo diverso in paesi e in culture diverse? Forse si
avverte di più in paesi in cui la famiglia non ha più forti legami?
Sì, probabilmente è vero che il ruolo degli anziani è diverso nelle
varie culture. A Londra c’è un Ministero della Solitudine che si prende cura
degli anziani e dei disabili. In molte società moderne questo è un grosso
problema. Probabilmente se la famiglia ‘tiene’, se i legami famigliari sono
forti, questo problema è meno avvertito. Ed è comunque per questo che per la
donna l’unica maniera per uscire dalla solitudine era innamorarsi, era l’amore
romantico.
Nel libro ci sono bellissimi passaggi di pura poesia, ad esempio quando
la donna guarda fuori dalla finestra. È stato difficile condensare così tanto
in poche pagine? Per quello ricorre alla poesia? Perché è questo che fa la
poesia, dopotutto, no? Dire tanto in poche parole.
È il mio stile, io sono una poetessa, la poesia mi ha insegnato a
tagliare i contorni e lasciare l’essenza.
Le righe in corsivo che intervallano
la storia, sono lì perché volevo avere l’adesso
fuori della vicenda, volevo indicare quello che succedeva in quel momento.
Leggere a Lume di Candela è anche una pagina Facebook
recensione e intervista saranno pubblicate su www.stradanove.it
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