mercoledì 30 maggio 2018

Elisabeth Åsbrink, “1947” ed. 2018


                                             vento del Nord
        Storia


Elisabeth Åsbrink, “1947”
Ed. Iperborea, trad. Alessandro Borini, pagg. 291, Euro 18,00

    Chi avrebbe mai detto che il 1947 sia stato un anno cruciale? Forse tutti gli anni sono cruciali, senza che noi che li viviamo ce ne rendiamo conto. Il tempo non va come dovrebbe- è la frase iniziale del libro della scrittrice svedese Elisabeth Åsbrink, una carrellata su quell’anno che si rivela colmo di avvenimenti importanti e dei presupposti per altri avvenimenti che avrebbero avuto luogo in un tempo futuro, quello che abbiamo appena vissuto o che stiamo vivendo adesso.
    Come nel gioco del domino si allineano le tessere del 1947, mese per mese, saltando qua e là nel mondo, segnalando e raccogliendo quello che accade in Egitto o a Malmö, a Washington o a Roma, a Londra, a Parigi, a Buenos Aires, a Londra, a Berlino, in India e in Palestina e in chissà quali altri posti che ho tralasciato. Di certo non ho citato l’isola di Jura dove George Orwell, ammalato di tubercolosi e in un isolamento pressoché totale, sta scrivendo il profetico “1984”. E neppure la nostra Torino dove Primo Levi, frustrato e avvilito per la mancanza di interesse per la più grande tragedia del ‘900 che lui ha vissuto sulla sua pelle, riesce finalmente a pubblicare “Se questo è un uomo” (presso una casa editrice minore perché Einaudi lo ha respinto).
Neppure Norimberga dove ha inizio il processo contro i criminali di guerra- è uno dei molti processi in cui spesso manca la convinzione, quando non mancano i fondi per portarli avanti. Mancano i fondi anche per mantenere agli arresti le centinaia di SS che sono state arrestate. Perché c’è una ambiguità basilare nei confronti di quanto è successo in Germania sotto Hitler- orrore e dubbio, desiderio di giustizia e volontà di dimenticare. La memoria è breve, passato il pericolo immediato delle mire espansionistiche del Terzo Reich il nuovo spauracchio è l’Unione Sovietica di Stalin, dal Nero al Rosso, insomma. E’ l’inizio della Guerra Fredda, della paura di una nuova guerra con l’uso delle armi nucleari. E allora è meglio salvare i cervelli nazisti, laviamo le colpe con una spugna, aiutiamo la fuga dei nazisti facendoli arrivare in Argentina o in Brasile (ma anche negli Stati Uniti) seguendo ‘la via dei topi’ (Svizzera e Vaticano più che consenzienti), mentre un giurista polacco che ha perso la famiglia nei campi di sterminio si batte per far riconoscere la voce ‘genocidio’ nei capi di accusa dei processi e il movimento di estrema destra rinasce nell’insospettabile Svezia.

   Non c’è pace nel mondo, forse la pace è una utopia. Si è appena conclusa una guerra e si accendono focolai di altre guerre. Il figlio di un orologiaio egiziano lancia la jihad di cui continuiamo a subire gli effetti, la Gran Bretagna ‘fa un gran pasticcio’, ‘a big mess’,- per dirlo con le parole di Lord Mountbatten- sia in India (la partizione India-Pakistan del 15 agosto non sarà indolore) sia in Palestina. L’ONU riconosce lo Stato di Israele ma migliaia di profughi vengono respinti (l’accordo permette 1500 ingressi all’anno, cifra irrisoria), il caso della nave Exodus diventa esemplare.

     In mezzo a tutto questo ribollire c’è anche la sorte del padre dell’autrice, un profugo ungherese di dieci anni che deve scegliere se partire per Eretz Israel o restare nella città dove le Croci Frecciate hanno spinto gli ebrei incatenati nelle acque del Danubio.
    E per fortuna, in questo cupo quadro di un anno che pensavamo si godesse la serenità del dopo-guerra, troviamo anche una nota leggera che lo completa: sorge l’astro di Christian Dior, non senza polemiche peraltro. E’ l’ideale della femminilità che rinasce con Dior- troppi metri di stoffa per i suoi abiti, troppo strizzati in vita i corpi delle sue modelle, ma fanno sognare.
    Completo e documentato, “1947” non è un romanzo ma tiene avvinti alla pagina con una scrittura brillante e varia. Un bel puzzle letterario.

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