vento del Nord
Storia
Elisabeth Åsbrink,
“1947”
Ed.
Iperborea, trad. Alessandro Borini, pagg. 291, Euro 18,00
Chi avrebbe mai detto che il 1947 sia stato
un anno cruciale? Forse tutti gli anni sono cruciali, senza che noi che li
viviamo ce ne rendiamo conto. Il tempo
non va come dovrebbe- è la frase iniziale del libro della scrittrice
svedese Elisabeth Åsbrink,
una carrellata su quell’anno che si rivela colmo di avvenimenti importanti e
dei presupposti per altri avvenimenti che avrebbero avuto luogo in un tempo
futuro, quello che abbiamo appena vissuto o che stiamo vivendo adesso.
Come nel gioco del domino si allineano le tessere del 1947, mese per
mese, saltando qua e là nel mondo, segnalando e raccogliendo quello che accade
in Egitto o a Malmö, a Washington o a Roma, a Londra, a Parigi, a Buenos Aires,
a Londra, a Berlino, in India e in Palestina e in chissà quali altri posti che
ho tralasciato. Di certo non ho citato l’isola di Jura dove George Orwell,
ammalato di tubercolosi e in un isolamento pressoché totale, sta scrivendo il
profetico “1984”. E neppure la nostra Torino dove Primo Levi, frustrato e
avvilito per la mancanza di interesse per la più grande tragedia del ‘900 che
lui ha vissuto sulla sua pelle, riesce finalmente a pubblicare “Se questo è un
uomo” (presso una casa editrice minore perché Einaudi lo ha respinto).
Neppure
Norimberga dove ha inizio il processo contro i criminali di guerra- è uno dei
molti processi in cui spesso manca la convinzione, quando non mancano i fondi
per portarli avanti. Mancano i fondi anche per mantenere agli arresti le
centinaia di SS che sono state arrestate. Perché c’è una ambiguità basilare nei
confronti di quanto è successo in Germania sotto Hitler- orrore e dubbio,
desiderio di giustizia e volontà di dimenticare. La memoria è breve, passato il
pericolo immediato delle mire espansionistiche del Terzo Reich il nuovo
spauracchio è l’Unione Sovietica di Stalin, dal Nero al Rosso, insomma. E’
l’inizio della Guerra Fredda, della paura di una nuova guerra con l’uso delle
armi nucleari. E allora è meglio salvare i cervelli nazisti, laviamo le colpe
con una spugna, aiutiamo la fuga dei nazisti facendoli arrivare in Argentina o
in Brasile (ma anche negli Stati Uniti) seguendo ‘la via dei topi’ (Svizzera e
Vaticano più che consenzienti), mentre un giurista polacco che ha perso la
famiglia nei campi di sterminio si batte per far riconoscere la voce
‘genocidio’ nei capi di accusa dei processi e il movimento di estrema destra
rinasce nell’insospettabile Svezia.
Non c’è pace nel mondo, forse la pace è una utopia. Si è appena conclusa
una guerra e si accendono focolai di altre guerre. Il figlio di un orologiaio
egiziano lancia la jihad di cui continuiamo a subire gli effetti, la Gran
Bretagna ‘fa un gran pasticcio’, ‘a big mess’,- per dirlo con le parole di Lord
Mountbatten- sia in India (la partizione India-Pakistan del 15 agosto non sarà
indolore) sia in Palestina. L’ONU riconosce lo Stato di Israele ma migliaia di
profughi vengono respinti (l’accordo permette 1500 ingressi all’anno, cifra
irrisoria), il caso della nave Exodus diventa esemplare.
In mezzo a tutto questo ribollire c’è anche la sorte del padre
dell’autrice, un profugo ungherese di dieci anni che deve scegliere se partire
per Eretz Israel o restare nella città dove le Croci Frecciate hanno spinto gli
ebrei incatenati nelle acque del Danubio.
E per fortuna, in questo cupo quadro di un anno che pensavamo si godesse
la serenità del dopo-guerra, troviamo anche una nota leggera che lo completa:
sorge l’astro di Christian Dior, non senza polemiche peraltro. E’ l’ideale
della femminilità che rinasce con Dior- troppi metri di stoffa per i suoi
abiti, troppo strizzati in vita i corpi delle sue modelle, ma fanno sognare.
Completo e documentato, “1947” non è un romanzo ma tiene avvinti alla pagina
con una scrittura brillante e varia. Un bel puzzle letterario.
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