Casa Nostra. Qui Italia
FRESCO DI LETTURA
Antonio Manzini,
“Orfani bianchi”
Ed. chiare lettere, pagg. 240, Euro 16,00
Roma. Uno scambio di e-mail tra Mirta
Mitea (indirizzo g.mail.com) e Ilie Mitea o un tal Boris (indirizzo list.ru:
possiamo supporre che i destinatari vivano in qualche paese dell’ex Unione
Sovietica). Mirta è preoccupata, vorrebbe che il figlio Ilie le scrivesse,
chiede notizie di lui e della vecchia madre a padre Boris che chiaramente serve
da intermediario. Il tono di Mirta è ansioso, angosciato, padre Boris cerca di
rassicurarla. Mirta parla di pacchi che spedirà- capi di abbigliamento, giochi
per Ilie, medicine. Appena metterà da parte abbastanza soldi, manderà una stufa
nuova.
Mirta ha trentaquattro anni, il padre del
figlio l’ha abbandonata quando il bambino era piccolo- meglio così. Lei è
venuta in Italia per cercare lavoro- fa la badante. Quando la vecchia signora
presso cui lavora adesso (inghiottendo umiliazioni) viene ricoverata in una
casa di riposo, incomincia l’odissea di Mirta. Una stanza in affitto, un letto
condiviso a turno, lavori saltuari a fare la pulizia delle scale di condominii
di undici piani, stanchezza mortale. E l’ansia che la rode dentro. La tragedia,
però deve ancora venire. Ancora una volta c’è qualcuno che aiuta Mirta, le
offrono un posto come badante-infermiera di una novantenne. Che cosa non si è
disposti a fare, quali bocconi amari non si è pronti ad ingoiare per duemila
euro al mese, pensando a Ilie che è rimasto solo, a Ilie che adesso è in un internat. Se Mirta resiste, tra tre mesi
forse potrà farsi raggiungere dal figlio in Italia.
Chisinau, Moldavia |
Conoscevamo l’Antonio Manzini come autore dei romanzi polizieschi con il
protagonista Rocco Schiavone, il più simpatico antipatico dei commissari del
genere. Con “Orfani bianchi” lo scrittore mostra la sua capacità di cimentarsi
con un’altra narrativa. Il tema è quello dell’immigrazione, dei lavoratori
stranieri contro cui sorgono tante proteste, come se rubassero il lavoro agli
italiani, ma che sono indispensabili. Chi farebbe quello che fanno loro? Chi
sarebbe disposto ad adattarsi a qualunque sistemazione, a passare notti in
bianco, a sopportare le stranezze di anziani per lo più ammalati? Probabilmente
ci vorrebbero due persone al posto di una, ad un costo improponibile. Perché
l’altra faccia del problema è quello di una popolazione sempre più vecchia con
figli già anziani che devono occuparsi di genitori ancora più anziani o,
comunque, di figli che sono troppo presi dal lavoro e dalla loro famiglia e non
hanno tempo- e neppure voglia- di ritagliare scampoli di giornate per prendersi
cura dei propri genitori. E Mirta Mitea, che viene da un paese in cui la
convivenza di parecchie generazioni che si scambiano aiuto è ancora la norma,
si stupisce della freddezza e del cinismo delle persone che incontra. C’è poco
di cui essere orgogliosi, se ci guardiamo con gli occhi di Mirta Mitea. Manchiamo
di umanità prima di tutto nei confronti di persone a cui siamo debitori di
affetto e poi anche verso chi lavora per noi. Tendiamo a trasformare le persone
in oggetti che usiamo, indifferenti ai loro sentimenti. Le esperienze di Mirta-
e non c’è nessuna esagerazione, basta guardarci intorno, basta tendere
l’orecchio ai discorsi che sentiamo fare- sono terribili.
In Moldavia chiamano ‘orfani bianchi’ i
bambini che, pur avendo i genitori, sono alloggiati negli ‘internat’. Sono i
figli di chi, come Mirta, deve scegliere tra restare con i propri bambini e
morire di fame con loro o andare all’estero nella speranza di riuscire a
trovare lavoro, di risparmiare, di farsi raggiungere dalla famiglia. C’è un
prezzo emotivo altissimo da pagare per questo sacrificio. Dovremmo ricordarlo
quando sentiamo qualche frase impietosa.
Scorrevole, ben scritto, tristissimo con il
suo doppio tragico finale, un libro che non può lasciarci indifferenti.
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