venerdì 31 marzo 2017

Ann Patchett, “Stupori” ed. 2012

                           Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
   il libro ritrovato

 Ann Patchett, “Stupori”
Ed. Ponte alle Grazie, trad. Silvia Piraccini, pagg. 390, Euro 18,60

      Stavano per incontrare la tribù. Era sempre stato quello l’obiettivo del viaggio, quindi perché Marina non ci aveva ancora pensato? A rendere la giungla tanto sgradevole era stata l’assenza di persone. Finora la giungla aveva offerto soltanto piante e insetti, viticci appiccicosi e animali invisibili, ed era stato già brutto così, ma adesso Marina capì che il peggiore scenario possibile erano in realtà le persone.

       La dottoressa Annick Swenson, finanziata dall’azienda farmaceutica Vogel per delle ricerche in Brasile, è ‘scomparsa’ da sette anni nella foresta amazzonica. Ogni tanto riappare a Manaus per i rifornimenti necessari, poi nessuno sa quale dei tanti minuscoli fiumi che si gettano nel Rio Negro imbocchi la sua barca. Sarebbe ora che rientrasse nel Minnesota, dove ha sede l’azienda, che fornisse la formula per il tanto atteso farmaco che farebbe volare le quotazioni della Vogel. Un altro medico biologo, Anders Eckman, viene mandato a cercarla. E a riportarla indietro, si intende. Il romanzo “Stupori” di Ann Patchett prende l’avvio quando un aerogramma giunge alla Vogel con la notizia della morte di Anders Eckman. La dottoressa Swenson non si è sprecata: nel suo scritto molto spazio è dedicato alla pioggia torrenziale, pochissimo all’uomo che, a quanto pare, è morto di febbre ed è stato sepolto sul posto. L’amministratore delegato della Vogel informa per prima la dottoressa Marina Singh, che lavorava fianco a fianco con Anders nello stesso laboratorio. Toccherà a Marina portare la notizia alla moglie Karen. Che, spezzata in due dal dolore, si rifiuta di credere che il marito sia morto. E, se lo è, lei rivuole il corpo. Marina deve andare a cercarlo, a portarlo indietro. Anche l’amministratore delegato pensa che Marina debba andare in Amazzonia- ma per portare indietro la testarda e ribelle Annick Swenson. Ed è così che, molto, molto malvolentieri, Marina Singh parte per Manaus.

      Questa era un’introduzione necessaria, la premessa alla straordinaria avventura- di Marina ma anche, prima di lei, della dottoressa Swenson e di Anders Eckman. Un’avventura che diventerà la nostra, leggendo. Se il primo tempo della vicenda si svolgeva in Minnesota, il secondo si svolge a Manaus e il terzo nel cuore della foresta amazzonica. Marina attende a Manaus.  La sua attesa assomiglia un poco a quella di Vladimir e Estragon per un Godot che non arriva mai. Marina attende che Annick Swenson faccia una delle sue solite puntate a Manaus, e intanto si abitua- al clima, alle piogge, a fare a meno del suo bagaglio che non è mai arrivato, agli insetti, alla gente. Annick Swenson fa la sua comparsa direttamente a teatro la sera della prima di “Orfeo e Euridice” di Gluck e tutta la scena acquista una valenza simbolica. Marina in cerca di Eckman è Orfeo che scende nel regno degli Inferi per tirare fuori la sua amata. Orfeo cede alle suppliche di Euridice e si gira indietro verso di lei: che cosa farà Marina? Quando Marina sale sulla chiatta per risalire il fiume insieme alla dottoressa Swenson e ad uno strano bambino sordomuto, ripensiamo al Marlowe di Conrad in “Cuore di tenebra” e ci chiediamo quale orrore possa trovare Marina all’approdo o, comunque, al termine di questa esperienza.

   Sono molte le cose che ci tengono avvinti, stregati dalla narrazione di Ann Patchett. L’incredibile fascino della foresta amazzonica da cui si è tentati di fuggire immediatamente- forse perché intuiamo che altrimenti ne resteremmo prigionieri. L’attrattiva degli indigeni lakashi che, pur essendo lontani, oppure proprio perché sono lontani da ogni norma della civiltà, hanno mantenuto un immediato contatto con la natura. Il carisma dell’incredibile settantatreenne dottoressa Swenson che ha tenuto gli occhi fissi sul faro della sua ricerca per anni senza curarsi di altro, che ha eseguito su se stessa la prima sperimentazione di un farmaco rivoluzionario per le donne, obbedendo ad un ammirevole quanto unico codice etico. La storia personale di Marina che, figlia di padre indiano, non sembrerebbe neppure una straniera tra gli indigeni dalla pelle scura.


    Ci sono infine, i quesiti posti dalla ricerca scientifica che riguardano un argomento di estrema attualità: la fertilità femminile, fino a che punto sia giusto- per tutti quelli che sono coinvolti- forzare la procreazione. E, secondariamente, l’inconciliabilità di etica ed interessi economici.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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