Voci da mondi diversi. Area germanica
FRESCO DI LETTURA
Alina Bronsky, “L’ultimo
amore di Baba Dunja”
Ed.
Keller, trad. S. Forti, pagg. 176, Euro 12,33
Baba Dunja è tornata a vivere a Černovo
(leggete pure Chernobyl) dopo quasi vent’anni di assenza. E’ tornata in un
paese fantasma, ci si arriva a piedi, perché l’autobus da Malyši ad un certo
punto si ferma- è il limite estremo oltre cui inizia la zona pericolosa. Ma che
pericolo può esserci per Baba Dunja? ‘Non
ho più ottantadue anni!’, ripete scherzando. Di qualcosa si deve pur morire
e almeno lei morirà a casa sua, mangiando le verdure del suo orto, quelle che i
ricercatori con le tute antiradiazioni vengono a prelevare con le pinze per
metterle dentro a un barattolo. E poi Baba Dunja non ha più nessuno- il marito
è morto (anche se si aggira intorno a lei, uno spettro più amabile
dell’ubriacone che era in vita), il figlio è in America, la figlia è medico in
Germania, non vorrebbe che lei stesse lì, le manda pacchi pieni di ogni ben di
dio, soprattutto le manda fotografie della nipotina che Baba Dunja non ha mai
visto. Si chiama Laura, la nipotina che ormai è adolescente- che bel nome,
Laura!
I giornali hanno parlato della vecchina che
ha sfidato le radiazioni, altri
hanno seguito il suo esempio, ci sono sei persone che ora abitano a Černovo. Ce
ne parla Baba Dunja, con un tono di voce tra l’allegro e l’ironico, con un piglio che di certo non denuncia la
sua età- c’è una coppia di marito e moglie, una donna grassa con le trecce come
quelle di Julija Timoshenko, un uomo vecchissimo (avrà cent’anni, dice Baba
Dunja) e un altro uomo che sembra uno scheletro ambulante (è molto malato). E’
incredibile quanto possa essere vivace
il racconto di un luogo di morte in cui non succede proprio niente. Ma non è
vero, perché qualunque cosa può avere il rilievo di un grande evento in una
situazione simile- il viaggio, in parte a piedi e in parte in autobus che Baba
Dunja fa per recarsi a Malyši dove ritira la pensione e la posta, fa acquisti
per sé e per gli altri, e poi ritorna ed è stanchissima, chissà come mai. Un
giorno le arriva una lettera da Laura.
L’eccitazione di Baba Dunja è uguale a quella che sarebbe se le fosse arrivata
una lettera d’amore. Laura non le aveva mai scritto, ma in che lingua scrive?
E’ in alfabeto latino e non in caratteri cirillici. Un giorno l’uomo
vecchissimo le fa una proposta di
matrimonio (non è mica matta ad accettarlo). Un giorno arriva un uomo con una bambina: perché la
porta a Černovo? Ha il destino segnato?
Dopotutto c’è molta vita nel
villaggio della morte, non si tratta proprio di amore ma c’è un matrimonio
con tanto di festa, c’è addirittura un delitto su cui arriveranno da Malyši ad
indagare interrompendo i festeggiamenti, c’è una specie di mutua solidarietà
fra i pochi abitanti che saranno tutti indagati. Ancora una volta Baba Dunja
(che un tempo faceva l’infermiera) si dimostra straordinaria, la ameremo ancora
di più per tutto quello che riesce a sopportare, anche la delusione di fronte
alle rivelazioni che le fa la figlia. Baba Dunja non si piega, ha una fiducia
incrollabile nella positività del mondo
e lei studierà l’inglese per riuscire a leggere la lettera di Laura. Che ha
scritto a lei, proprio a lei. Ed è il
suo ultimo amore.
Il dramma di Chernobyl non è dimenticato e non è superato.
Anzi, è più che mai presente, nei ricordi e nella realtà. Ma Alina Bronsky, con
la sua Baba Dunja che incarna la
saggezza di chi ha visto tutto nel corso degli anni, riesce a farci
sorridere anche se a volte il cuore si stringe in una morsa. Perché ha la capacità di godere del poco che ha e
che le sembra tanto, perché ha capito che il tesoro maggiore di Černovo è il tempo. Il tempo non esiste proprio,
a Černovo. E’ solo l’alternarsi di luce e buio che stabilisce il tempo, non
sono certo obblighi di lavoro a determinarlo. E dove si potrebbe stare meglio
che nel non tempo di Černovo? Anche la
morte è già passata di lì, non sarà gran cosa incontrarla di nuovo.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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