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FRESCO DI LETTURA
Alberto Rossi, “Il
gioiello degli zar: la storia della camera d’ambra”
Ed. ARPANet, pagg. 208, e-book
Euro 4,99, ed. 2013
Ho visto la sala d’ambra a Tsarskoye Tselo. L’ottava meraviglia del mondo. Non importa se è rifatta e non è
quella originale. E’ sempre una meraviglia che toglie il fiato, che ti inonda
di luce dorata, no, non è esatto, è un caldo miele di un rosso aranciato. Più
bello del fulgore di qualunque metallo. Indimenticabile e impareggiabile.
Ho letto altri libri con la storia o il
mistero della sala d’ambra, regalo di Federico di Prussia allo zar Pietro nel
1716, spostata da un palazzo all’altro dalle imperatrici Elisabetta e Caterina
fino a trovare la destinazione finale nella splendida reggia di Tsarskoye
Tselo, rubata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. E poi persa.
Scomparsa. E’ forse andata distrutta nell’incendio del castello di Königsberg durante l’avanzata
dell’Armata Rossa? O è ancora sepolto in qualche miniera? La curiosità mi ha
spinto a leggere il libro di Alberto Rossi, anche perché il titolo non
conteneva la parola ‘mistero’, ma ‘storia’. Forse l’approccio era diverso da
quello dei libri già letti. E poi, forse, io volevo, molto semplicemente,
leggere qualcosa che mi facesse ‘rivedere’ la sala d’ambra.
Non sono stata delusa. La novità, ne “Il
gioiello degli zar”, è la storia
dell’artefice che ha avuto l’idea e ha creato la sala d’ambra. Il nome di Andreas Schlüter,
scultore e architetto alla corte di Federico III, nato nel 1664 e morto nel
1714, resterà per sempre legato a opere geniali come il castello di Berlino
(distrutto durante la seconda guerra mondiale), il Monumento al Grande Elettore
Federico Guglielmo II a Königsberg,
la cattedrale di Fromborg in Polonia e
alla sala d’ambra. Fu lui ad averne l’idea, avendo a disposizione una gran
quantità dell’oro del Baltico- come veniva chiamata l’ambra- per cui si sapeva
che lo zar Pietro aveva una passione. Fu lui a fare tentativi ed esperimenti
per realizzare il capolavoro che aveva in mente, qualcosa che nessuno aveva mai
visto, senza uguali.
Alberto Rossi svolge la sua narrazione su diversi livelli storici parallelamente
(forse sarebbe stato più facile seguire i salti temporali con un maggiore
stacco narrativo): il passato più
lontano che ha Schlüter
come protagonista e che si evolve con la
lenta realizzazione e il montaggio della camera d’ambra, il tempo della guerra
con la scoperta del tesoro inaspettato
da parte dei nazisti (che i tedeschi siano stati in grado di smontare in un
baleno, e senza danneggiarli, i pannelli d’ambra mentre i russi ci avevano
rinunciato- è storia nota), il trasporto a Königsberg con i camion, l’affondamento del
sommergibile che avrebbe dovuto prendere in carico le casse, e un altro tempo ancora
nel dopo-guerra quando un uomo
eredita dal padre un pezzo d’ambra che era sempre stato un talismano per il
genitore. Ci sarà un incontro fra reduci di guerra ormai anziani, un seguire
delle tracce labili dei camion che forse si erano diretti verso una miniera,
per scoprire che…
E c’è la storia di un tempo mitico ancora più lontano,
quello della favoleggiata Thule che
ha ispirato dei nazisti fanatici cultori della pura razza ariana che si
riunivano intorno ad un tavolo rotondo in una grottesca e diabolica imitazione
di re Artù.
I personaggi del libro di Alberto Rossi
non sono abbastanza ben delineati da non confonderli, ma non ha poi molta
importanza visto che la nostra attenzione è interamente assorbita dalla vera
protagonista de “Il gioiello degli zar”- la camera d’ambra- e ci piace, invece, la ricchezza dei rimandi storici e la
vivacità del tono narrativo.
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