Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
FRESCO DI LETTURA
M.M. Kaye, “Padiglioni lontani”
Ed. e/o, trad. Mariagrazia
Bianchi, pagg. 1118, Euro 22,00
Soltanto qualcuno che fosse vissuto a
lungo in India poteva scrivere un romanzo come “Padiglioni lontani”. Soltanto
qualcuno che amasse profondamente l’India poteva scrivere un romanzo come
“Padiglioni lontani”. Soltanto qualcuno che avesse conosciuto in qualche misura
la morsa di un cuore diviso tra due identità poteva creare un personaggio come
Ashton Pelham-Martyn, cresciuto con la convinzione di essere un indù per
apprendere poi che la donna che considerava sua madre era solo una serva che lo
aveva salvato durante la rivolta dei sepoy del 1857 e che i suoi genitori,
entrambi morti, erano in realtà britannici. Soltanto qualcuno che sapesse
parlare l’hindi come l’inglese poteva sentirsi vicino a tutti i personaggi
indiani del romanzo. E infine soltanto qualcuno che avesse una conoscenza di
prima mano dell’esercito britannico in India (il padre di Mary Margaret Kaye
era figlio di un ufficiale e crittografo dell’esercito, suo marito era generale
del corpo scelto delle Guide a cui appartiene, nella finzione, Ashton) poteva
scriverne con tanta perizia.
"Padiglioni lontani", film del 1984 |
Ci vollero quindici anni a Mary Margaret
Kaye per terminare “Padiglioni lontani”, pubblicato per la prima volta nel 1978.
Fu subito successo, quindici milioni di copie vendute. Se ne capisce il perché.
“Padiglioni lontani” è un romanzo fiume che ha molto del feuilleton, compresa
la magia che irretisce, ma che è in grado di soddisfare le richieste diverse di
lettori diversi.
E’ una storia d’amore, di quell’amore
romantico voluto dalle stelle e a cui non ci si può sottrarre: Ashton bambino
(tutti lo chiamano ancora Ashok) è amico fraterno della piccola Anjuli,
principessina bistrattata perché figlia del Raja di Gulkote e di una feringhi a sua volta figlia di un russo,
infinite peripezie li separeranno prima di un nuovo incontro. E’ chiaro però
che il loro è un amore impossibile, non solo per le differenze di casta, per il
fatto che ormai Ashok è dichiaratamente un inglese e un ufficiale del corpo delle
Guide, ma anche perché Ashton deve scortare Anjuli e la sorella Shushila fino
al regno di Bhitor dove andranno entrambe spose al sovrano.
E’ una storia di intrighi e di morte- morte
per una delle tante malattie in un clima estremo, morte per rappresaglie degli
indiani sui colonizzatori britannici, per gelosie e vendette all’interno delle
corti dei Raja, per punizioni selvagge. Una storia anche di amicizie e di
lealtà fin oltre alla morte: l’amicizia è una cosa da uomini e l’amore è per le
donne.
E’ una storia dell’India nella seconda
metà dell’800 vista da chi- come la scrittrice o il suo personaggio-
considerano gli inglesi come degli invasori che reclamano diritti su di un
paese che non è il loro con l’arroganza della loro presunta superiorità come giustificazione.
E’ anche, nella parte finale, quasi una storia profetica di quanto accadrà un
secolo dopo, mentre inglesi e russi si contendono- disastrosamente-
l’Afghanistan.
Sono pagine che traboccano di passione e
di colore, quelle di “Padiglioni lontani”. Passione d’amore, certo, ma
soprattutto passione per un paese che affascina e cattura il cuore con le sue
mille diversità. Pagine indimenticabili che dipingono la natura, le fortezze
gigantesche in cui riconosciamo quelle del Rajasthan, i tramonti, il deserto,
le montagne- le vette del Dur Khaima, i Padiglioni Lontani, diventano un
simbolo di una meta agognata di pace e serenità e uguaglianza. Pagine di usanze
e costumi esotici- il muro con l’impronta delle mani delle spose vanno ad
immolarsi sulla pira funebre del marito-, cortei di elefanti e cammelli, sari
che scintillano con le trame di fili d’oro e d’argento, barbaglio di pietre
preziose.
“Padiglioni lontani” è un libro
‘intramontabile’- e indimenticabile- come lo è “Via col vento”. Se rivela
qualche segno di invecchiamento è perché anche noi siamo invecchiati dopo la
prima travolgente lettura del 1978, perché il passo del nostro tempo è troppo
veloce per l’avanzare cadenzato degli elefanti. Ora però comprendiamo più che
mai perché la scrittrice, morta nel 2004, abbia voluto che le sue ceneri
fossero sparse nel lago Pichola, vicino a Udaipur nel Rajasthan.
Perché lei
apparteneva a quel luogo, come Ashton ridiventato Ashok dopo aver smesso per
sempre la divisa. Perché, anche se la vita l’aveva portata lontano, il suo
cuore non si era mai mosso dall’India.
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