FRESCO DI LETTURA
Eshkol Nevo, “Soli e perduti”
Ed. Neri Pozza, trad. Ofra Bannet
e Raffaella Scardi, pagg. 264, Euro 17,50
Titolo originale: Ha’mikveh ha’acharon beSibir
Preferirei che tu aspettassi a sbandierarlo ai quattro venti, lo prega.
Io…ammetto di provare un po’ di disagio per quello che abbiamo fatto. O meglio,
non provo disagio per quello che abbiamo fatto. Ma per il posto in cui
l’abbiamo fatto. Insomma non è un caso se in quel posto donne e uomini stanno
separati. Ho un vago ricordo…la mia bisnonna…non sono sicura…forse non si
tratta proprio di un banja, forse è un luogo…un luogo sacro…e noi,
senza saperlo offendiamo qualcuno…la tradizione…
Geremia Mendelshtorm è rimasto vedovo dopo quarant’anni di matrimonio.
Lui e la moglie vivevano nel New Jersey e l’America non è come Israele, in
America ‘le famiglie sono come i cocci di un vaso, non come i pezzi di un
puzzle’. E Geremia rimpiange la moglie, si sente terribilmente solo. Pensa di
fare qualcosa perché il nome di lei sia ricordato per sempre: finanzierà la
costruzione di un mikveh, un bagno
rituale, nella Città dei Giusti in Israele, dove si sarebbero dovuti recare in
viaggio entrambi, se il destino non avesse deciso altrimenti.
Su questo pretesto narrativo Eshkol Nevo ha
costruito il suo nuovo romanzo, “Soli e perduti”, interamente percorso da una
vena di ironia mescolata però ad una certa tristezza- quasi tutti i personaggi
del libro sono persone sole, o persone che hanno trovato un compagno o una
compagna cercando di fuggire dalla solitudine, persone spaesate perché
costrette a lasciare il paese d’origine, incapaci di inserirsi pienamente in
una nuova terra di cui non conoscono la lingua e difficilmente la impareranno.
Non è
possibile costruire un altro mikveh
nella Città dei Giusti. Ce ne sono già troppi. Tuttavia il sindaco non vuole
proprio rinunciare a quel generoso lascito. Si farà così: il mikveh sarà costruito in Siberia, il
quartiere dove nessun israeliano voleva andare ad abitare perché circolava una
voce sullo spirito di uno dei Giusti che protestava su quelle abitazioni
costruite sopra le tombe ed allora era stato destinato a degli immigrati russi
che non capivano l’ebraico, non sospettavano nulla, ancora grazie che avevano
delle case in cui vivere. E però non sapevano neppure che cosa fosse e a che
cosa servisse un mikveh. Incomincia così
un gioco degli equivoci che suscita un riso condito di amarezza, perché, se da
una parte ci diverte l’errore causato dall’incomunicabilità- i russi sono
convinti che venga costruito per loro un circolo in cui riunirsi per giocare a
scacchi, con tutte le conseguenze di questo equivoco- dall’altra ci dà pena
leggere dell’operaio arabo, appassionato ornitologo, che viene arrestato e
sottoposto ad interrogatori perché confessi che stava spiando la base segreta
con il suo binocolo. Prevale tuttavia il divertimento, soprattutto nel finale,
quando- sempre grazie all’incomprensione linguistica che poi è anche incomprensione
culturale, un abisso difficile a superare per ebrei provenienti da luoghi così
disparati- il mikveh è usato, sì, ma
per tutt’altro. Somma ironia in senso letterale, visto che quello che dovrebbe
essere un bagno di purificazione diventa un bagno di giocosa lussuria. E
intanto abbiamo seguito le storie dei vari personaggi, dell’amore del
segretario del sindaco per una donna che lui ha deluso ed è scomparsa per
riapparire adesso nell’improbabile veste della donna che riceve all’ingresso
chi si reca al bagno, dell’impotenza del non-ebreo russo che ha seguito la
donna che ama in Israele, dello stesso Geremia Mendelshtorm che si è consolato
abbastanza presto del dolore per la perdita della moglie.
I personaggi del romanzo di Eshkol Nevo
sono per lo più “Assoli perduti”, “Lost
solos”, come vengono chiamati gli uccelli solitari che appaiono
inaspettatamente lontano dalla loro rotta migratoria, in una parte del mondo
dove non dovrebbero stare. L’immagine è bella, ma il significato pare
leggermente forzato nel contesto. Le storie sono un poco sfilacciate e non
sempre i personaggi ci convincono. Anche l’unico arabo, il lavoratore Naim che,
in un altro gioco di equivoci, lascia che tutti lo chiamino con un nome ebraico,
Noam, viene allontanato in maniera alquanto superficiale, lui stesso un
ennesimo assolo perduto, uno degli uccelli che ama osservare.
la recensione sarà pubblicata su www.wuz.it
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