Voci da mondi diversi. Africa
il libro ritrovato
Chimamanda Ngozi Adichie, “Metà di un sole giallo”
Ed. Einaudi, trad. Susanna Basso,
pagg. 450, Euro 19,50
A distanza di quasi quarant’anni si dice
ancora ‘sembra un bambino del Biafra’, per indicare un piccolo molto magro.
Perché i bambini furono i primi ad essere colpiti dalla fame del Biafra, la
fame usata come arma di guerra nigeriana durante i tre anni di guerra civile-
dal 1967 al 1970- terminata in quella che fu una catastrofe umanitaria. Che
peraltro rese famosi parecchi fotografi (ma questa è un’altra storia). C’era
stato un tentativo di colpo di stato, in Nigeria, all’inizio del 1966, di cui
era stata attribuita la responsabilità ai capi militari di etnia igbo. Era
seguita un’uccisione di massa degli igbo immigrati nel Nord del paese- da qui la
dichiarazione di secessione dell’area sud-orientale, popolata da 11 milioni di
igbo, autoproclamantesi Repubblica del Biafra con capitale Enugu. Pochissime le
nazioni che avevano avuto il coraggio di riconoscere la neonata repubblica,
ridotta presto allo stremo dal blocco imposto dalla Nigeria. E’ questa
l’ambientazione del romanzo, non perfetto, ma molto bello, molto dolente, della
giovane nigeriana Chimamanda Adichie, “Metà di un sole giallo”.
La metà di un sole giallo è quell’occhio
di luce che appare sulla bandiera del Biafra- Stato dalla vita breve. Ed è il
leit motiv ricorrente in tutto il libro, quello della metà di un intero, del
doppio uguale ma in certo qual modo diverso: uno Stato che si spacca a metà, le
due gemelle diverse che sono le protagoniste del romanzo, di cui una,
resiliente ma meno bella dell’altra, scompare alla fine, proprio come il
Biafra. Scompare- badate bene. Non si sa che fine abbia fatto, non è detto che
sia morta. Perché, come dicono le parole di una poesia così spesso ripetuta da
risuonare nei nostri orecchi anche a lettura terminata, Se il sole si rifiuta di sorgere, noi lo obbligheremo.
Si chiamano Olanna (“oro divino”)
e Kainene (“vediamo che altro ci riserva Iddio”) le due gemelle che sono i
personaggi principali. Non sono due ragazze qualunque. Di etnia igbo, sono le
figlie di un uomo importante che si è arricchito favoreggiando le persone
giuste, avendo cura anche di investire soldi all’estero. Per coprirsi le
spalle. Per fuggire se necessario. E lo sarà.
Fa parte dell’attrattiva del
romanzo, leggere vicende che riguardano personaggi che appartengono ad un
ambiente elitario e colto e che vivono in un paese dell’Africa che i nostri
pregiudizi raffigurano come globalmente arretrato. E così seguiamo le vicende
di Olanna, che si innamora del brutto, colto, idealista professore Odenigbo, e
di Kainene che fa coppia, invece, con l’inglese Richard, giornalista e
scrittore, ne ascoltiamo le discussioni politiche e filosofiche, siamo accanto
a loro quando inizia la guerra, tra lo sconcerto, lo stupore, l’incredulità nel
sentire dei massacri. Finché Olanna vede la donna che culla la testa mozzata
della sua bambina. Finché Kainene vede l’uomo il cui corpo continua a correre
senza testa, prima di stramazzare, come fanno i polli. E le gemelle devono,
prima una, poi l’altra, abbandonare la sicurezza delle splendide case, gli agi,
le cene con gli amici intellettuali, e arretrare nella boscaglia, nei villaggi.
Cercare cibo al mercato nero, mangiare lucertole e grilli fritti. Piangere la
morte violenta di parenti e amici.
Ma la storia del Biafra non è vissuta
soltanto attraverso le gemelle della classe privilegiata, perché Chimamanda
Adichie alterna capitoli in cui Olanna e il suo amante rivoluzionario sono i
protagonisti, con altre due serie di capitoli- in una il personaggio
principale, quasi la voce narrante anche se in terza persona, è il giovane Ugwu
e nell’altra è l’inglese Richard. E sono due punti di vista totalmente diversi,
quella di Ugwu, ragazzotto che arriva undicenne a servizio di Odenigbo, non ha
mai neppure visto un rubinetto e finisce per scrivere un libro, “Cronaca della
vita di un paese”, e quella dell’inglese che sceglie il Biafra come sua patria
e scrive il suo atto di accusa contro il mondo dei bianchi, “Il mondo taceva
mentre noi morivamo”.
Il lettore perdona alla scrittrice alcune
cadute nel sentimentalismo, la sottolineatura di qualche metafora, perché “Metà
di un sole giallo” è un libro bello e terribile- un modo palpitante per
conoscere la storia. Per non dimenticare mai.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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