Voci da mondi diversi. Asia
il libro ritrovato
Amitav Ghosh, “Il Palazzo degli Specchi”
Ed. Einaudi, pagg. 502, L.36.000, € 18,59
Nel palazzo reale di Mandalay, in Birmania, c’era una sala
le cui pareti erano interamente ricoperte di frammenti di vetro, per
rispecchiare all’infinito l’immagine del sovrano. Un infinito che terminò nel
1885, quando le truppe britanniche invasero il palazzo e tutta la famiglia
reale fu portata in esilio in India. E’ con questi fatti che inizia il romanzo
di Amitav Ghosh, uno dei maggiori scrittori indiani di lingua inglese, per
darci la misura del tempo e il ritmo della ruota della fortuna. Finisce il
regno birmano, inizia l’impero britannico; decade lo splendore dell’ orgogliosa
famiglia reale, ridotta in miseria, e si innalza la fortuna delle tre famiglie
di cui seguiremo le vicende. L’ orfano Rajkumar, dodicenne quando assiste alla
partenza del re, diventa ricchissimo sfruttando la richiesta di legname
pregiato di cui la Birmania è ricca; i Martins sperimentano con successo la
coltivazione dell’albero della gomma in Malesia, e Anjur Roy, indiano, riesce ad arruolarsi nel
prestigioso esercito anglo-indiano. Si intrecciano matrimoni e parentele nella
seconda generazione delle famiglie, mentre Uma Roy, vedova di un funzionario
indiano, entra nelle fila del partito che si sta organizzando per ridare la
libertà all’India. Perché il significato simbolico del palazzo degli specchi è
proprio questo: arriva il momento in cui ogni personaggio deve guardarsi allo
specchio e prendere coscienza della sua identità. Difficile ritrovarla, dopo
quasi un secolo di dominio inglese che ha foggiato non solo l’economia, ma
anche la mentalità dei paesi sudditi.
Aveva visto giusto la regina Supayalat,
quando aveva detto che la prigionia della famiglia regnante rispecchiava (ancora
gli specchi) quella che sarebbe stata la prigionia di tutto un popolo. “Da qui
a 100 anni leggerete l’atto d’accusa nei confronti dell’avidità europea”. Una
ricerca di identità particolarmente difficile per Anjur, legato per giuramento
a mettere al di sopra di tutto la sicurezza, il benessere e l’onore di un paese
che non è il suo e che neppure conosce. Quando scoppia la seconda guerra mondiale, diventa chiaro
che, dopo tutto, Germania e Giappone vogliono un impero tutto loro, secondo il
modello creato dalla Gran Bretagna e per Anjur è traumatico accettare l’idea
che non ci sono padroni buoni o cattivi e che, paradossalmente, migliore è il
padrone, peggiore è la condizione dello schiavo, perché gli fa dimenticare chi
è. La ruota del tempo gira, c’è un altro “palazzo degli specchi” alla fine del
romanzo: è questo il nome del negozio di Dinu Raha, professione fotografo. Un
artista, che ha il ruolo di registrare con le sue immagini la realtà della
storia, filtrandola attraverso il suo obiettivo, fermandola sulla carta più di
quanto un’immagine riflessa possa fare. Un romanzo epico, l’ affresco di un
secolo di storia nelle ex-colonie britanniche con protagonisti che, una volta
tanto, non sono inglesi, una bella lettura.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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