Voci da mondi diversi. Africa
fresco di lettura
NoViolet Bulawayo,
“C’è bisogno di nuovi nomi”
Ed. Bompiani, trad. E. Malanga, pagg. 265, Euro 15,30
Titolo
originale: We Need New Names
Dimmi solo una cosa. Che cosa stai facendo in questo momento in un paese
che non è il tuo? Perché te ne sei scappata in America, Darling Nonkulko
Nkala, eh? Perché te ne sei andata? Se è il tuo paese allora lo devi amare,
viverci e non lasciarlo. Devi combattere a tutti i costi per il tuo paese, per
tornare a far funzionare le cose. Dimmi, se la tua casa brucia la abbandoni o
vai a cercare l’acqua con cui spegnere il fuoco? E se la lasci lì a bruciare,
poi ti aspetti che le fiamme si trasformino in acqua e si spengano da sole?
L’hai lasciata lì, cara Darling, hai lasciato bruciare la casa e hai il
coraggio di dirmi, con quell’accento idiota che non è il tuo, che il paese in
cui sei andata non fa per te, che il tuo paese è questo…
Budapest. No, non pensate alla capitale
dell’Ungheria. Paradise. E no, non pensate al Paradiso promesso dopo la morte. Tutt’altro.
Siamo in Zimbabwe, nel Sud-Est dell’Africa, un tempo colonia britannica,
indipendente nel 1965 con il nome di Repubblica di Rhodesia, poi nel 1979
diventata Zimbabwe Rhodesia e definitivamente Zimbabwe nel 1980, quando Robert
Mugabe fu eletto capo del governo a suffragio universale. Una Storia
travagliata di soggezione, colonialismo, frammentaria indipendenza, illusione
di libertà e miglioramento economico per piombare, a metà degli anni ‘90, in un
turbine di violenza, espropriazioni, rovina sociale ed economica, inflazione e,
per sopraggiunta, una diffusione di AIDS da alterare radicalmente le
aspettative di vita.
E’ in questa realtà, in questo ambiente di
degrado, che vive Darling, la bambina che ha dieci anni all’inizio del libro
“C’è bisogno di nuovi nomi” di NoViolet Bulawayo, nata in Zimbabwe con il nome
di Elizabeth Zandile Tshele ed emigrata a Detroit in Michigan. Darling (uno di
quei nomi che sono diffusi tra i neri e che trasmettono un messaggio- penso a
Beloved di Toni Morrison, o ad una bimba che conosco e che si chiama Halleluja)
e i suoi piccoli amici, Chipo, Bastard, Stina, Diolosa, Sbho, abitano nella
baraccopoli dall’ironico nome di Paradise. Sono ragazzini di strada che giocano
a Trova Bin Laden, o al gioco delle Nazioni, o a rubare guave perché hanno
sempre fame. Per rubare guave devono spingersi fino al quartiere ricco di
Budapest e non importa se, dopo la scorpacciata di guave, si ritroveranno tutti
accovacciati nel doloroso sforzo di defecare. ‘Prima’ anche Darling abitava in
una casa bella come quelle che ci sono a Paradise. ‘Prima’ che il suo papà
dovesse andare in Sud Africa a cercare lavoro, ‘prima’ che le scuole fossero
chiuse e che venisse a mancare tutto. In questo ‘dopo’ di miseria e di
squallore capita anche che l’undicenne Chipo sia incinta e che Darling e Sbho
decidano di aiutarla a disfarsi della pancia che le dà noia. Qualcosa che Chipo
vede fa affiorare alla sua mente il ricordo di quello che le è successo e che
lei non aveva neppure capito- un’esperienza purtroppo comune e per questo
ancora più dolorosa. In questo ‘dopo’ a Darling e ai suoi amici non resta che
sognare- di avere una Lamborghini come quella che vedono sfrecciare in strada,
di andarsene via da lì, ovunque sia. Il luogo dove Darling spera di andare è in
America, Destroyedmichighen, che è la storpiatura di Detroit in Michigan, dove
abita la zia.
Ed eccoci, con un brusco stacco, ad un
ulteriore ‘dopo’, quando Darling è a Detroit. La prima reazione è di sorpresa
meraviglia, di infinita goduria davanti all’abbondanza che si offre agli occhi
ovunque. Abbondanza di cibo, di merci di ogni genere, mai neppure immaginate.
Il pensiero di Darling corre ai suoi amici, a Paradise, i termini del confronto
sono impossibili. Darling soffre di nostalgia, scrive spesso a Sbho e a Chipo
che le domandano assillanti di descrivere tutto, di trasportarli con lei
nell’immaginazione in quel luogo magico. Poi la polvere magica si dissolve, la
realtà della vita in America si rivela altrettanto squallida di quella
‘laggiù’, pur nella relativa ricchezza. Sembra tutto così assurdo: la zia che
non mangia per diventare sempre più magra, il figlio dello zio che invece è
obeso, la solitudine di ognuno inchiodato davanti al televisore o a una
playstation, lavoro, lavoro, lavoro, per avere un basso tenore di vita, il
sesso e la pornografia a portata di tutti.
Non c’è una vera e propria trama in “C’è bisogno di nuovi nomi”, un
libro in cui la prima parte ti afferra il cuore, ti fa sorridere di tristezza- è
senza dubbio la più accattivante, vivida e spontanea. Il romanzo è una serie di
quadri, un susseguirsi di episodi che si accumulano per diventare un romanzo di
crescita o di formazione attraverso il dolore del distacco, dell’emigrazione,
della perdita della propria identità e della ricerca, faticosa, sofferta,
lacerante, di una nuova identità. Sempre con il dubbio: è possibile riuscirci?
Non si finisce forse per non essere nessuno, per non appartenere più a nessun
luogo?
L’esordio promettente e maturo di una scrittrice che, con questo
romanzo, è entrata in lista per il Man Booker Prize 2013.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
NoViolet Bulawayo sarà presente al Festival della Letteratura di Mantova 2014
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