Voci da mondi diversi. Cina
il libro ritrovato
Zhang Jie, “Anni di buio”
Ed. Salani, trad. Maria Gottardo
e Monica Morzenti, pagg. 366, Euro 18,00
Per quanto Wu Wei abbia cercato in tutti i modi di non diventare una
schiava, la sua spina dorsale era già stata piegata a due anni, per non
raddrizzarsi mai più. Da allora, chiunque poteva diventare suo padrone. Non
solo era figlia di una schiava, ma lo era lei stessa. Per tutta la vita avrebbe
considerato ogni briciolo d’amore o di affetto, anche se involontario, o falso,
come un dono immeritato che gli altri le elargivano e per il quale doveva
mostrare immediata gratitudine, trasformandosi in cane fedele o bestia da soma
al servizio del benefattore del momento, al quale si donava con tutta se
stessa.
Splendido. “Anni di buio”, secondo romanzo
di una trilogia della scrittrice cinese Zhang Jie, è splendido come solo
possono esserlo i libri dall’ampio respiro, quelli che riescono a tessere la
trama della grande Storia insieme alle piccole storie degli uomini e delle donne
che sembrano agitarsi senza senso e senza scopo e invece concorrono a foggiare
il destino di un paese e, con quello, pure la sorte del mondo.
Chi ha già letto il precedente “Senza parole” ricorda alcuni dei
personaggi che riappaiono- soprattutto la scrittrice Wu Wei, che abbiamo visto
sprofondare nella follia nel primo libro della serie. Soprattutto, chi ha già
letto “Senza parole” conosce già lo stile di Zhang Jie e non deve affrontare di
nuovo lo sconcerto e il lieve disorientamento davanti alla flessibilità
temporale della narrazione. Nei romanzi di Zhang Jie il tempo non è un fluire
continuo nella stessa direzione- dal passato, o dal presente, verso il futuro-,
ma procede a balzi, si ferma, indugia, retrocede, anticipa quello che verrà.
Come se fosse un racconto orale che si permette divagazioni, o fa una pausa
perché c’è un dettaglio o un frammento di storia da inserire in quel momento.
Tocca al lettore mettere in ordine i fatti, compito stimolante che tiene desta
l’attenzione. E così la Storia
e le storie palpitano di vita, come se tutto fosse accaduto ieri e non quasi un
secolo fa.
C’è una spaccatura tra una prima e una seconda parte in “Anni di buio”:
il tempo è lo stesso, i protagonisti pure, ma nella prima parte c’è la storia
degli uomini, che sono quelli che fanno le guerre, e nella seconda si muovono
in primo piano le donne, le stesse che prima avevamo visto attraverso la lente
maschile, che venivano prese e abbandonate dagli uomini per seguire un signore
della guerra. Le vicende della Cina del secolo scorso sono complesse- una terra
frazionata, spaccata poi in due dall’occupazione giapponese, attraversata dai
movimenti della resistenza, divisa dalla guerra civile. Con una popolazione in
costante aumento, senza le prospettive di una ricchezza industriale, il riso
come alimento base, e spesso l’unico ad essere fortunati.
Se i vari Hu Bingchen, Hu
Binghuan, Hu Bing’an, Bao Tianjian (non scoraggiatevi, c’è un utilissimo elenco
dei personaggi all’inizio del libro) abbandonano le loro case, si schierano
dall’una o dall’altra parte, agiscono, insomma, le donne che restano a
combattere la loro battaglia per sopravvivere e dare da mangiare ai figli sono
quelle che ammiriamo di più per il loro coraggio indomito, che restano nei
nostri cuori anche se a volte fatichiamo a comprenderle nell’ottica moderna.
O
forse neppure questo è vero: Ye Lianzi, fedele al marito di cui non sa nulla
per anni, disposta a lasciarsi umiliare accettando di vivere con lui e la sua
amante, quando lo ritrova a Hong Kong, è una delle tante vittime femminili che permettono
l’esistenza dei carnefici. Bellissimo personaggio, Ye Lianzi, così fragile
fisicamente e così forte quando si tratta di lottare per la figlia Wu Wei, il
suo bene più prezioso. Perché Ye Lianzi non vuole che sua figlia abbia
un’infanzia come la sua, rimasta orfana presto, tollerata dalla matrigna,
andata in sposa perché non c’era altra via di uscita. E tuttavia, anche se non c’è
una matrigna a marchiare i primi anni di Wu Wei, le basi per la sua pazzia
degli anni a venire vengono poste dal padre violento, insieme ad un’esperienza
di servitù, al terrore indimenticabile di essere inghiottita dall’acqua che
saliva, quando il fiume Hai ruppe gli argini nel 1939, o di morire sotto il
crollo di una casa durante il bombardamento di Hong Kong nel 1941.
Un’immagine ci resta impressa, tra le tante
di queste pagine, quella della Grande Muraglia di cui giunge in vista Gu
Qiushui (marito di Ye Lianzi e padre di Wu Wei), durante la spedizione per
recuperare le armi per la lotta contro il Giappone. Il meravigliato stupore di
Gu Qiushui ci ricorda quello di Carlino che scopre il mare ne “Le confessioni
di un italiano”: non le onde del mare ma quelle della sabbia del deserto si
distendono davanti a Gu, e tra di esse affiorano le rovine della Muraglia, come
una gigantesca spina dorsale. Una grandiosa opera eretta da mani sconosciute,
rimasta lì in silenzio, “senza un lamento, sempre in assetto di combattimento a
guardia di un confine remoto, sempre in attesa di un ordine che non sarebbe mai
arrivato”. E ci pare che questa muraglia muta, di fronte ad un ‘deserto dei
tartari’, rappresenti il popolo cinese stesso attraverso tutte le peripezie
della Storia.
Non possiamo che attendere con ansia il terzo volume della scrittrice
cinese candidata da anni al Premio Nobel per la Letteratura.
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