Voci da mondi diversi. Penisola iberica
il libro ritrovato
Miguel Sousa Tavares, “Equatore”
Ed. Cavallo di ferro, pagg. 492,
Euro 18,50
E’ il 1905. Luis Bernardo Valença
viene nominato dal Re di Portogallo governatore delle isole di S. Tomé e
Principe. Il suo compito è convincere i proprietari delle piantagioni ad
adottare un comportamento diverso nei confronti dei lavoratori di colore in
modo da confutare l’accusa di schiavismo fatta al Portogallo dall’Inghilterra
che minaccia di sospendere le importazioni di cacao. Luis Bernardo si troverà a
combattere da solo in difesa del diritto fondamentale dell’uomo alla libertà.
Un finale drammatico con il gesto grandioso di un uomo che non si piega al
ricatto e non accetta compromessi.
INTERVISTA A MIGUEL SOUSA TAVARES, autore di “Equatore”
Il piacere della lettura che troviamo
già nelle prime pagine di “Equatore” è quello proprio del romanzo, è il gusto
di leggere una storia ben raccontata, i cui ingredienti sono avventura, amore,
amicizia e morte, con un personaggio che viene posto davanti a delle scelte,
che si troverà in situazioni estreme che richiedono decisioni da cui dipende la
vita sua e di altri, in un ambiente estraneo e diverso in cui si corre il
rischio di perdere la propria integrità insieme a se stessi. C’è solo una breve
introduzione iniziale al protagonista Luis Bernardo, una sorta di premessa che
giustifica il compito che gli viene assegnato e che cambierà il tranquillo
corso della sua vita. Perché un conto è sostenere per iscritto, in articoli e
saggi, una politica coloniale illuminata e moderna, e un conto è dover attuare di
persona questi principi nella consapevolezza che le conseguenze del nostro
operato avranno ripercussioni sull’economia di un intero paese.
Quando il Re
del Portogallo nomina Luis Bernardo governatore di S. Tomé e Principe, non gli
affida una missione, ma lo invita a “servire” il suo paese. E, se “servire” il
proprio paese significa agire nell’interesse di questo e del suo popolo, qual è la scelta eticamente giusta quando
questo interesse è in conflitto con l’idea personale di giustizia e di diritto?
La propria integrità vale di più del benessere di una nazione intera? Perché di
questo si tratta: la ricchezza del Portogallo viene dalle colonie e si basa sul
lavoro degli schiavi. Si può camuffare la verità, si possono mostrare contratti
di lavoro, fingere che i negri imbarcati dall’Angola abbiano “scelto” di
lavorare nelle isole, ma non si può nascondere che i negri non sono in grado di
leggere e tanto meno di firmare quei contratti, che 3000 negri lasciano
l’Angola ogni anno e nessuno vi fa mai ritorno. E’ la prova che l’Inghilterra
impugna per minacciare il boicottamento delle importazioni di cacao dalle
colonie portoghesi. Luis Bernardo, l’uomo qualunque, il donnaiolo che si dà
arie da intellettuale, si trova calato in una realtà sconvolgente- come se,
oltrepassando la linea dell’Equatore, fosse sprofondato negli abissi di tenebra
dove il colore della pelle determina il valore della vita di un uomo. La sua
diventa una lotta donchisciottesca contro le forze del male, in una solitudine
dolorosa che sembra venire alleviata quando arriva sull’isola il console
inglese che dovrebbe essere il suo avversario politico e diventa invece suo
amico. Complicando la vita di Luis Bernardo, perché quando questi si innamora
della moglie del console, è nel suo carattere porsi il problema della lealtà-
ancora una volta si tratta di decidere se l’amore e il soddisfacimento
personale valgano il tradimento dell’amicizia. Per trovarsi di fronte ad un
tradimento più grande. Ha viaggiato lontano Luis Bernardo nei due anni in cui
si è allontanato dal Portogallo e la sua figura raggiunge la dimensione
dell’eroe tragicamente puro nella decisione finale. Prima della partenza gli
era stato chiesto, “che cosa potrà mai
avere dalla vita di più grandioso?”. La risposta adesso è, “ho lasciato qui la
mia vita; che cosa avrei potuto dare al mio Re di più grande?”. Stilos ha
intervistato lo scrittore portoghese Miguel Sousa Tavares.
Il romanzo è nato da un viaggio
fatto come giornalista nelle isole di S. Tomé e Príncipe. Poi il mio amico mi
diede un libro che era un resoconto scritto nel 1905 dal Re del Portogallo
sulle condizioni di lavoro in quelle isole. Avevo così l’inquadratura storica e
geografica della mia storia, mi mancava solo l’intreccio romanzesco, il tempo
disponibile per scrivere e la risposta alla domanda: sarò capace di scrivere un
romanzo, e di questa portata? Ho passato circa dieci anni a meditare sul tema,
e pian piano l’intreccio mi è nato in testa, fino ad arrivare al giorno- 1
gennaio 2001- in cui ho deciso di iniziare l’anno nuovo cercando di scrivere
“Equatore”. Dopo un anno e mezzo il libro era pronto.
Lei è un giornalista e scrittore di reportage di viaggio: che cosa ha
fatto scattare in lei il desiderio di scrivere qualcosa di più e di diverso da
un semplice libro di viaggio nelle isole?
Avevo già pubblicato una storia per
bambini, un libro di cronache e uno di racconti, dove, in scala minore, avevo
sperimentato la narrativa. Avevo sempre la tentazione di fare il salto da una
scrittura di tipo giornalistico a quella di tipo narrativo. Soprattutto mi
piace definirmi come un narratore di storie vere e di storie inventate.
Scrivere dei reportage continua a piacermi e ho appena terminato un libro per
bambini, una storia che avviene nello spazio nell’anno 3000.
I due personaggi principali del romanzo, Luis Bernardo e l’inglese
David Jameson, sono entrambi degli eroi con una mancanza, un difetto fatale: è
la passione per le donne per Luis Bernardo e quella per il gioco per David
Jameson. Eppure ammiriamo di più Luis Bernardo: è perché troviamo più nobile
perdersi per amore che per soldi?
Senza dubbio è più nobile rovinarsi
per amore che per gioco. Ma il preferire il personaggio di Luis Bernardo è
dovuto al fatto che egli è meno perfetto dell’inglese, in un certo modo è un
anti-eroe, pieno di dubbi, di difetti e di debolezze, di egoismi e di desiderio
di comodità che cerca di superare quando si vede investito di una missione che
non aveva cercato, ma che lo obbliga ad alzare la testa per un sentimento di
onore e di dovere. Personalmente ho orrore della perfezione, delle persone
perfette e di chi crede in un mondo perfetto.
La storia di Luis Bernardo è quella di un uomo che si trova di fronte a
un dilemma etico, se la propria integrità valga di più dell’interesse del
proprio paese: la scelta del Re è stata strumentale? Cioè, è caduta su di lui
con la consapevolezza che sarebbe stata la sua rovina ma che avrebbe dato
credibilità al Portogallo?
Non so e non voglio risponderle. Ci
sono certe cose nel libro che ho deciso di lasciare nel dubbio, ho voluto
lasciare libertà di scelta e di interpretazione al lettore. Non voglio essere
io a tirare le conclusioni e la morale della storia. Ricordo che da ragazzo era
questo che non mi piaceva in Dostoevskij; il mio scrittore preferito era Čechov,
che lasciava molta libertà creativa ai lettori. Un giorno ero sulla spiaggia e
di fronte a me c’era una coppia che non si era accorta di me, i due stavano
discutendo sul finale di “Equatore”. Mi è sembrato affascinante vedere che
l’uomo aveva una interpretazione sulla conclusione della storia e la donna un’altra.
Era esattamente ciò che io avevo desiderato: lasciare il libro “aperto”, non
dare tutte le risposte o la mia risposta personale. Del resto, pensandoci bene,
fino a che punto una storia che ci seduce appartiene solo a chi l’ha scritta?
Luis Bernardo e David Jameson rappresentano anche i due diversi stili
di colonialismo dei loro due paesi: pur con i suoi aspetti negativi,
l’Inghilterra ha lasciato dietro di sé qualcosa di positivo nelle colonie; che
cosa ha “costruito” il Portogallo nelle colonie?
Tanto per cominciare il Brasile. L’unico
caso, in tutta la storia coloniale in cui il Re, la corte e l’élite del paese
si sono trasferiti nella colonia, facendone la sede dell’impero. E poi abbiamo
lasciato Goa, in India, il meglio dell’India ancora oggi, e inoltre abbiamo lasciato
ciò che né l’Inghilterra, né la
Francia hanno mai lasciato, tanto in Africa che in Brasile, e
cioè quello che Senghor chiamò “l’irresistibile tendenza per il meticciato dei
portoghesi”. Ci siamo mescolati ai popoli conquistati, lì ci siamo sposati e
abbiamo fatto dei figli, alcuni sono rimasti per generazioni e generazioni.
Alcuni portoghesi sono partiti per sempre, cambiando vita e continente. Hanno
esercitato senz’altro anche molta brutalità e molte ingiustizie, ma non sono
mai stati dei predatori di passaggio che si sono limitati a saccheggiare per
poi tornarsene a casa loro.
Tuttavia sembra che David Jameson abbia un atteggiamento meno critico
nei confronti del colonialismo inglese: è un esempio dell’ipocrisia con cui si
giustificano gli oppositori di Luis Bernardo, che sostengono di non fare niente
di molto diverso dagli altri, usando la mano d’opera di colore?
David
Jameson era il tipico funzionario dell’Indian Civil Service, una scuola di
élite creata per governare l’India: un compito che, come diceva Kipling, “Dio
aveva messo nelle mani dell’Inghilterra”. Io sono un grande ammiratore di
questa epoca vittoriana, soprattutto di ciò che riuscì a fare di grandioso
nell’immenso impero inglese. Oggigiorno è politicamente scorretto dire che
certi imperi avessero anche delle virtù e non solo difetti, e che all’epoca
rappresentavano in molti casi un progresso per i popoli che li integravano.
Senza l’eredità inglese sono certo che l’India oggi non sarebbe una democrazia-
come non lo è nessun paese che sia stato sottomesso all’impero cinese, mongolo
o arabo. Gli imperi ci sono sempre stati, solo che alcuni hanno lasciato
un’impronta di progresso, e altri no.
Si fa spesso riferimento ad un ultimatum del 1890: di che cosa si
tratta?
È stato un ultimatum fatto
dall’Inghilterra al Portogallo, quando il Portogallo pensò all’idea di quella
che venne chiamata “la Mappa
Rosa ”, che consisteva nel legare le colonie portoghesi
dell’Angola e del Mozambico, attraverso la colonia inglese dello Zambia.
Ovviamente all’Inghilterra l’idea non è piaciuta e ci ha minacciati di guerra.
I portoghesi hanno dovuto rinunciare al progetto, e da quel momento è diventato
di moda dire male dell’Inghilterra.
Un titolo che segna una posizione geografica, “Equatore”, ma anche un
titolo simbolico: è una “linea d’ombra”?
È una linea di frontiera, una
striscia di sabbia. Rappresenta il confine dove tutto è possibile, le buone e
le cattive scelte: si può scegliere il coraggio o la viltà, l’amore o
l’accomodamento, la verità o la sottigliezza. Luis Bernardo ha incontrato il
suo equatore lungo il suo cammino e ha dovuto scegliere tra le opportunità.
Secondo me la vita è fatta di molte possibilità, da scegliere quasi
quotidianamente. Poveretti quelli che non devono mai farlo! Rischiano di
passare una vita intera senza averla vissuta realmente.
“Equatore” è un romanzo sul potere esercitato dall’uomo sull’uomo, un
romanzo sull’amore e anche sul tradimento: ha un significato il fatto che la
fedeltà sia rappresentata da due persone di colore, i servitori Sebastiao e
Doroteia?
Non ci ho mai pensato, ma credo che
il vero significato non risieda nel fatto che sono negri, bensì domestici di
Luis Bernardo. Il che forse significa che a volte è più facile incontrare la
fedeltà tra le persone semplici, che conducono una vita povera, che hanno
ambizioni limitate e che non sono ancora corrotti dalle cose del mondo. Ma
questa è semplicemente un’interpretazione alla quale penso ora sollecitato
dalla sua domanda.
Leggiamo dello schiavismo e ci scandalizziamo. Possiamo interpretare i
ragionamenti degli “africanisti”, che sostengono le motivazioni economiche del
lavoro degli schiavi, come un’allusione alle stesse motivazioni che nascondono
oggigiorno un altro tipo di schiavismo che tutti fingono di ignorare?
Lo schiavismo, quello tradizionale
come quello moderno, non ha mai giustificazioni, ma trova sempre chi vorrebbe
spiegarlo. Io credo sia un errore tentare di giudicare la storia e i
comportamenti del passato alla luce dei codici etici contemporanei. Anche la Chiesa ebbe l’Inquisizione
e difese la pena di morte, i conquistatori saccheggiavano le città conquistate,
le donne non hanno votato nella maggior parte dei paesi fino alla metà del XX
secolo, i professori picchiavano regolarmente i bambini… Ma per fortuna c’è
sempre stato chi lottava contro la morale stabilita; è per questo che oggi, in
termini umani, siamo arrivati fin qui. Possiamo anche non rispettarli, come a
Guantanamo, ma sappiamo qual è il bene e qual è il male. Non possiamo più
invocare l’ignoranza né le abitudini costituite.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaGrazie della recensione. Sto iniziando a leggerlo adesso, in lingua portoghese
RispondiElimina