Voci da mondi diversi. Medio Oriente
fresco di lettura
Meir Shalev, “Due vendette”
Ed.
Bompiani, trad. Elena Loewenthal, pagg. 400, Euro 19,00
Titolo
originale: Two She-Bears
“Quasi tutte le famiglie qui sono tribù di
ciclamini. Così mio nonno descriveva quelle famiglie i cui figli restano vicini
ai genitori, a differenza della nostra, che è una famiglia di tarassachi, che
volano lontano. Nonno Zeev e i suoi fratelli hanno abbandonato la casa dei
genitori in bassa Galilea. Mio padre e suo fratello sono volati via da questa
casa prima che hanno potuto. La mamma mia e di Dovik ci ha lasciati qui da
nonno ed è andata negli Stati Uniti. Eitan ha abbandonato me e il mondo ma è tornato,
Neta è morto troppo presto e non tornerà mai più.
Israele. Un uomo attende sotto un
gigantesco carrubo in uno uadi il
passaggio di un altro uomo. Lo ucciderà con fredda determinazione. Non sa
neppure chi sia. Sa solo che suo suocero è morto per mano sua anche se si è
voluto far passare la morte per un incidente: è più che probabile che un
vecchio, che ci vedeva da un occhio solo e camminava con un bastone, si sia
inciampato e abbia picchiato la testa su un sasso, vero?
Anni prima, quando era giovane e non
portava ancora una benda su un occhio, l’uomo che è stato vendicato adesso
aveva commesso un crimine a sua volta. Aveva ucciso con furia l’amante della
moglie, il padre del bambino che tutti avrebbero pensato suo figlio.
E’ una storia forte e cruda che gronda
dolore, quella che Meir Shalev ci racconta nel nuovo romanzo “Due vendette”, il
primo pubblicato dopo “E’andata così” di quattro anni fa. E’ una storia di
ardenti passioni e di morte, raccontata da una donna, Ruta Taburi, nipote del
vecchio Zeev con la benda su un occhio, e, anche se i due delitti frutto della
vendetta sono i binari su cui scorre la narrazione, un’altra morte è al centro
del libro e di tutta la storia che, in un senso più vasto, è la storia di un
villaggio, una microStoria simbolica di Israele che andrà ad arricchire la tesi
di una studentessa universitaria che fa le domande e ascolta le risposte di
Ruta. Ruta Taburi è ancora giovane, è bella, ha una forte vitalità. Eppure è
passata attraverso una tragedia: suo figlio, il piccolo Neta di sei anni, è
morto per il morso di un serpente. Era andato con il padre Eitan in una di
quelle gite ‘per soli uomini’ che escludevano lei, Ruta, la mamma, felice,
tutto sommato, di vedere quell’accordo perfetto tra padre e figlio. Dopo la
morte di Neta Eitan si era chiuso nel mutismo, aveva spento la luce, il grande
amore tra lui e Ruta era appassito di colpo.
Il racconto di Ruta è ricco e colorato, va
dalle storie leggendarie di famiglia (alcuni stralci hanno la forma di fiabe
per il bambino Neta), di nonno Zeev e di come un carretto guidato da suo
fratello e tirato da un toro, con un gelso, una pietra di basalto e la promessa
sposa Rut, fosse arrivato fino a lui dal suo villaggio di origine, al primo incontro di lei stessa, Ruta, con Eitan
e a come Eitan si fosse allontanato dal ricevimento di nozze di suo fratello
con la madre della sposa, ritorna a parlarci di Zeev e del suo matrimonio
bianco e poi, sempre, sempre, si ritrova a dirci di Neta. Perché è impossibile
accettare la morte di un bambino, perché, paradossalmente, la morte di un
bambino passa al secondo piano, in Israele, davanti alla morte di un figlio che
cade in guerra. Ed è questo- il lutto, il dolore di un paese che perde i suoi
figli-, insieme a quello della vendetta, il tema del romanzo di Shalev.
Conosciamo il talento affabulatorio di Meir
Shalev. Conosciamo il suo stile in perfetto equilibrio tra realismo e favola,
capace di trasformare in epica una vicenda privata, di dare un significato
metaforico al tempo, al paesaggio, alla natura (tutte le vicende ruotano
attorno a tre grandi alberi, un’acacia, un gelso, un carrubo). E non possiamo
evitare di pensare ad un significato più vasto di queste tre morti in cui
quella accidentale di un bimbo che appare quasi una vittima sacrificale si
colloca tra due delitti, come se il Dio della Bibbia lo avesse voluto per sé
per riscattare un’altra morte infantile, per punire un altro delitto ancora, di
un altro bambino, commesso da Zeev dopo il primo omicidio. Non possiamo non pensare
alla Storia attuale di Israele, alla vendetta che chiama vendetta, alle
ritorsioni senza fine.
Come poi riesca, Meir Shalev, ad alleviare
con il sorriso dietro le lacrime di Ruta una tragedia così immane, un destino
così crudele ancorché cercato- questo è il mistero del talento di un grande
scrittore.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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