ricorrenze
INCONTRO CON NADINE GORDIMER, premio Nobel 1991
Signora Gordimer, vorremmo sentire le sue considerazioni
su questi dodici giorni a Stoccolma.
E’ stato un anniversario anche per me:
sono 10 anni da quando ho ricevuto il Premio Nobel. Il numero delle persone
presenti e la grandiosità delle celebrazioni sono stati di gran lunga maggiori
di allora. Noi, Premi Nobel per la letteratura, in numero di gran lunga
inferiore agli scienziati, ci sentivamo ignoranti, consci della frattura fra
scienze e letteratura, anche se alcuni argomenti, come le teorie sul genoma, la
possibilità di clonare l’essere umano, sono preoccupazioni che riguardano tutta
l’umanità. Si aveva la sensazione che il mondo fosse cambiato, dopo l’11 di
settembre, molto di più che in tutti i 100 anni passati. Quando si pensa a
quanto è successo, c’è un solo avvenimento che possa sostenerne il paragone, ed
è l’esplosione della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. La differenza è che
allora i due paesi erano apertamente in guerra, mentre l’attacco alle Torri
Gemelle è avvenuto all’improvviso, “out of the blue”, in un giorno di sole: è
stato un attacco simbolico al potere dell’ America, alla sicurezza
dell’invincibilità americana.
Naipaul è un grande scrittore, ma dubito
che si possa affermare, come lui fa, che la sua opera non ha una valenza
politica. Günther Grass ed io non potevamo accettare né che la sua posizione
fosse possibile, né che fosse vera. Molti dei suoi scritti sono autobiografici,
lui stesso ha raccontato che i suoi nonni giunsero a Trinidad dall’India per
lavorare nei campi di zucchero. In molti libri di Naipaul è presente il tema
dell’anticolonialismo, non in maniera didattica, ma nel sentimento di sentirsi
sempre uno straniero dove si è, perché non si appartiene a quel posto. La
politica ci influenza sempre, influenza il nostro modo di pensare e di
crescere.
Per me c’è una distinzione semplice: il
nazismo non ha concluso niente di buono, sì, forse Mussolini ha costruito delle belle strade qui
da voi. E’ vero che il comunismo ha commesso tremendi crimini contro l’umanità,
ma ha lasciato anche delle idee che sono filtrate in profondità giungendo alla
sinistra moderata e ai progressisti. In Sud Africa non avremmo avuto la libertà,
se non ci fosse stato il movimento del Nazionalismo Nero in cui si erano
trasferiti gli ideali comunisti.
Io mi domando: che cosa fate se siete
americani e subite un attacco come quello delle Torri Gemelle? Però mi domando
anche: è giusto entrare in guerra, uccidere persone innocenti, quando si cerca
un solo uomo? Non ho risposte, mi sento impotente, ma penso che l’ America non
potesse fare altro che reagire, anche se non ho molta fiducia in quello che gli
americani hanno ottenuto in Afghanistan. Non penso che governerà un’alleanza
democratica. L’uso della forza indiscriminata non è la risposta giusta. Le
Nazioni Unite hanno avuto dei fallimenti, ma anche dei successi. Vorrei
precisare che non faccio parte delle Nazioni Unite, ma del Programma di
Sviluppo delle Nazioni Unite, che si interessa di aiutare i paesi in via di
sviluppo. La globalizzazione dovrebbe rendere omogeneo il mondo – come avrebbe
dovuto farlo il comunismo -, dovrebbe portare un certo grado di uguaglianza fra
gli usi delle risorse del mondo. Ma è un concetto molto astratto, è inutile
pensare di portare ovunque il beneficio della tecnologia digitale, in luoghi,
per esempio, dove manca anche l’elettricità. Penso che alla base di tutti i
nostri problemi ci sia la differenza fra i ricchi e i poveri: basta pensare che
il 20% di 25 milioni di americani guadagna di più del 43% dell’intera
popolazione mondiale. Una cifra impressionante.
Questa è una definizione troppo precisa:
l’Apartheid era basato sul colore della pelle. Ma condivido questa
preoccupazione. Includerei anche, come forma di razzismo, l’intolleranza
religiosa, il fondamentalismo, perché si riduce spesso al colore del viso.
L’inglese è la mia lingua, il mio
strumento di lavoro, ma mi preoccupa che qualunque lingua possa assumere un
ruolo dominante. Mi domando se il fenomeno sia associato al potere politico.
D’altra parte in Sud Africa sarebbe impossibile pubblicare qualcosa, se non
fosse scritto in inglese, perché abbiamo 11 lingue diverse. Penso però che ci
debba essere una maggiore cooperazione tra gli editori per finanziare le
traduzioni.
Mi ha sorpreso che la questione
dell’Aids non sia stata sollevata a Stoccolma. L’Africa è il paese con il
maggior numero di persone affette dall’Aids. E’ una nuova peste e può
contagiare il mondo intero. La realtà è che, se si hanno i soldi, ci si può
curare, se si è poveri, si muore. In Africa, come eredità del regime coloniale,
c’è stata una reazione molto lenta alla situazione della diffusione dell’Aids.
Il problema è duplice: da una parte non possiamo produrre medicinali perché
sono protetti dalle leggi di proprietà intellettuale e dall’altra il nostro
presidente, un uomo eccellente, di grande cultura e saggezza, tende ad essere
scettico riguardo all’HIV come causa dell’Aids. Questo non vuol dire che metta
un freno ai programmi di educazione, ma manca il suo appoggio e questo ha un
cattivo effetto psicologico sulla popolazione.
In un certo senso il mio libro tratta di
un tema molto attuale perché il personaggio principale è un giovane arabo che è
un immigrante clandestino e lavora in un garage a Johannesburg. Si tocca
l’enorme problema dell’immigrazione che riguarda tutti i paesi. Il Sudafrica è
il paese più ricco del continente africano ed è circondato da paesi
poverissimi. Prima, durante l’Apartheid, le frontiere erano chiuse, ma, da
quando sono state aperte, arriva un flusso continuo di immigrati, e non solo
africani, ma anche dall’Asia. Non abbiamo nulla da dare loro, non abbiamo né
case, né assistenza medica, né lavoro sufficiente, eppure continuano ad
entrare. Il mio protagonista arabo, Abdul, lavora illegalmente in un’ officina
meccanica e conosce per caso una donna bianca di una famiglia benestante
sudafricana, perché lei ha bisogno di far riparare la macchina. Pensavo che
avrei scritto una storia d’amore fra due persone di ambienti diversi,
dell’attrazione fisica, dei sacrifici e delle bugie che l’amore può richiedere.
Poi mi sono resa conto che l’argomento principale è diventato il problema
dell’immigrazione, del trovarsi in un luogo illegalmente, del dover rinunciare
a tutto, anche alla propria lingua, per vivere in un paese in cui si è sempre
uno straniero. Dopo l’11 di settembre ho pensato, chissà, se il mio Abdul non
fosse emigrato in Sudafrica, sarebbe potuto diventare un talebano?
Libri di Nadine Gordimer
pubblicati da Feltrinelli:
Un mondo di stranieri (1961)
Qualcosa là fuori (1984)
Occasione d’amore (1984)
Un ospite d’onore (1985)
Una forza della natura (1987)
Il mondo tardoborghese (1989)
Vivere nell’interregno (1990)
Luglio (1991)
Storia di mio figlio (1991)
La figlia di Burger (1992)
Il salto (1992)
Nessuno al mio fianco (1994)
Scrivere ed essere (1996)
Un’arma in casa (1998)
Vivere nella speranza e nella
storia (1999)
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