il libro ritrovato
Elizabeth von Arnim, “La moglie del pastore”
Incantevole Ingeborg: ci
affascina la protagonista di “La moglie del pastore”, il romanzo scritto nel
1914 dalla scrittrice australiana Elizabeth von Arnim, cugina di Katherine
Mansfield, sposata in prime nozze al conte von Arnim, figlio adottivo di Cosima
Wagner, e, dopo, con il fratello di Bertrand Russell. Un nome nordico,
Ingeborg, in onore della nonna materna, una svedese che aveva sposato un
turista inglese, un nome dal suono un po’ duro e insieme cristallino, evocatore
di cieli limpidi e aria chiara. Ed è così che ci appare la ventiduenne Ingeborg
che cammina per le strade di Londra dopo una visita dal dentista, incantata da
tutto quello che vede, incredibilmente
leggera per trovarsi lontana dalla sua opprimente famiglia. Una vetrina di
un’agenzia che propone un viaggio a Lucerna, un colpo di testa, una decisione
immediata, e Ingeborg si trova sul treno verso la Svizzera, seduta di fronte ad
un gentiluomo tedesco che finirà per chiederle di sposarlo.
Un tono di leggera
ironia, come un umorismo inconsapevole, percorre la descrizione del
corteggiamento, con il prussiano Herr Dremmel che non ha il minimo dubbio di
venire accettato e Ingeborg che non osa tirarsi indietro, davanti alla torta
ordinata per il fidanzamento. Lui è un pastore della chiesa luterana,
massiccio, con capelli grigi che assomigliano alla pelliccia di un castoro, un
solo interesse nella vita: l’agricoltura e lo studio dei fertilizzanti. Lei è
esile, con occhi chiari e capelli fini che prendono fuoco nel sole, promette
una bellezza che non ha ancora, ha vissuto rinchiusa in casa, agli ordini del
padre vescovo. Quando Ingeborg pensa al matrimonio, pensa a sua madre, eterna
malata immaginaria per sfuggire alle richieste del marito; Herr Dremmel le dice
che l’uomo ama prima del matrimonio, la donna dopo. Forse Herr Dremmel è meglio
di quel padre inflessibile che non le perdona l’aver anche solo pensato al
matrimonio e che non vorrà mai più rivederla quando lei parte per la Prussia. Inizia
così la seconda fase della vita di Ingeborg, in cui lei, abituata
all’arrendevolezza, si piega, si adatta: è una figura di luce, lieve e
canterina, che non si lascia scoraggiare né dall’ossessione agricola del marito,
né dall’incomunicabilità linguistica, né dalla diffidenza astiosa di suocera e
vicini. Dopo sei figli in sette anni, Ingeborg capisce la madre e riacquista
una sorta di verginità che dà ali alla sua mente. Ed ecco la fase conclusiva,
con l’apparire sulla scena del famoso pittore, l’uomo che vede la bellezza che
è fiorita senza che il marito se ne sia accorto e che convince Ingeborg a
seguirlo in Italia. Ancora una volta la sottigliezza psicologica e l’umorismo
sottile della scrittrice sono straordinari nel sottolineare le differenze, tra
il pittore che cerca di sedurla e la deliziosamente e maliziosamente ingenua
Ingeborg, che non capisce (o finge di non capire) le sue avances ed è estasiata
dalla bellezza della terra “wo die Citronen blumen”. Ritornerà a casa, la dolce
Ingeborg, piena di sensi di colpa ingiustificati, ed è come se non si fosse mai
allontanata: il marito alza a mala pena la testa dal suo scrittoio e lei si
riprende la lettera di commiato che gli aveva scritto in un impulso di
sincerità e che lui non ha neppure letto. Meriterebbe di più, Ingeborg, di
questo marito distratto, della solitudine in cui verrà di nuovo rinchiusa. O
forse questa è la dignità del destino che ha scelto. O che è stato foggiato per
lei dall’educazione ricevuta.
la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos
Elizabeth von Arnim |
Bella recensione. Volevo solo fare una precisazione, che la foto a fine recensione non è di Elizabeth ma di Katherine Mansfield. Buona serata
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