vento del Nord
il libro ritrovato
Sofi Oksanen, “Le vacche di Stalin”
Ed. Guanda, trad. Nicola Rainò,
pagg. 480, Euro 19,50
Lo
spiega l’autrice ad un certo punto del libro: le vacche di Stalin sono in
realtà capre. E’ una delle tante mistificazioni dei regimi totalitari che sono
soliti abbellire la realtà iniziando dalla sottile modificazione del linguaggio
(chi non ricorda la distopia di Orwell in “1984”?). E tuttavia, in questo
romanzo in cui le donne sono le protagoniste assolute, possiamo anche intuire
che il titolo alluda ad altro, ad una trasformazione- forzata dal desiderio di
sopravvivenza- delle donne dell’area sovietica in prostitute o puttane o
zoccole che dir si voglia. Gli uomini della confinante Finlandia sapevano bene
che era sufficiente prendere il traghetto e arrivare a Tallinn in Estonia per
trovare donne che offrivano il loro corpo in cambio di un paio di calze.
“Le vacche di Stalin” è il primo romanzo di
Sofi Oksanen, figlia di padre finlandese e di madre estone, pubblicato nel 2003
quando la scrittrice aveva solo ventisette anni. A noi giunge solo ora, dopo
“La purga”, tradotto in italiano nel 2010. Un libro bellissimo, più maturo del
pregevole “Le vacche di Stalin” che è, comunque, la rivelazione di una
scrittrice che si annuncia grande.
Sofia, Katariina, Anna. Nonna,
madre e figlia. E’ Anna la protagonista di questo romanzo che segue quattro
filoni narrativi in tempi diversi che finiscono per coprire, quindi, la
travagliata storia dell’Estonia dagli anni ‘40 ad oggi. La Anna che scrive in
prima persona parlando di sé ha venticinque anni ed è, come lei si definisce,
“bulimaressica”, in bilico tra anoressia e bulimia. La sua è una vita
assoggettata ad un Signore impietoso che detta le leggi del suo corpo con
l’indice puntato sulla bilancia. “La mia prima volta fu diverso”: è l’incipit
del libro in cui, però, ‘la prima volta’ non è quella che potremmo pensare, di
un primo rapporto con un ragazzo, ma la prima volta in cui Anna ha scoperto la
soddisfazione del vomito, esperienza che imparerà a raffinare e da cui
imparerà, nello stesso tempo, a difendersi, prevenendo gli effetti negativi
collaterali. Anna può così abbuffarsi, certa che poi non metterà su neppure un
etto.
La malattia di Anna, di cui
neppure la madre si accorge finché non dura da più di dieci anni, è l’esternazione
di un malessere più profondo, la rivelazione della frattura interiore del suo
conflitto di identità.
C’è un paese che Anna ama, ed è l’Estonia, la patria di
sua madre. C’è un paese che Anna sente come ‘casa’. Di cui sente nostalgia
nonostante le sue carenze, la povertà, il regime di sospetti- è sempre
l’Estonia. E c’è il paese in cui Anna cresce in una bella casa con
riscaldamento, con negozi pieni di ogni genere di consumo: è la Finlandia di
suo padre. Tutto sembra essere meno bello in Finlandia: le donne meno
femminili, il cibo meno buono. Eppure Anna ha la proibizione di parlare della sua
metà estone. Perché si sa che le donne estoni mirano solo ad accalappiare un
marito finlandese per andarsene via di là. Che le donne estoni sono tutte
puttane, come le russe. Il secondo racconto, mescolato al primo ma per lo più
in terza persona, ci parla di Anna bambina che avverte presto il distacco tra i
genitori, subodora le infedeltà del padre, accompagna la mamma nei suoi viaggi
a Tallinn, carica di valigie piene di merce import
di cui gli estoni sono affamati. Anna bambina che vede con disgusto i finlandesi
come ‘renne ubriache’ nelle loro escursioni oltre il golfo per fare il pieno di
birra e di avventure sessuali. Anna bambina e poi adolescente che deve
difendersi da sguardi concupiscenti parlando in finlandese per mettere in
chiaro che non è una di ‘quelle’.
bandiera estone |
E poi le altre due storie. Di Katariina
negli anni ‘70, quando si innamora del finlandese e lo sposa, nonostante le
difficoltà politiche, per ottenere il visto, per seguirlo in Finlandia (che
delusione) dove non riuscirà mai ad avere la nazionalità, dove non troverà
lavoro come ingegnere, dove continuerà ad essere spiata dal KGB. Di Sofia negli
anni ‘40, quando l’Estonia fu invasa prima dai tedeschi e poi dall’Armata Rossa
e suo marito e i suoi fratelli si diedero alla macchia. Anni di paura, di
delazioni, di deportazioni in Siberia.
“Le vacche di Stalin” è un romanzo che
offre diverse vie di lettura: io ho amato soprattutto le tre narrazioni che
spaziano nella storia e nella cultura a confronto dei due paesi, ci sarà di
certo chi sarà più interessato al tormento interiore della protagonista che la
porta ad avere “fame di fame”.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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