Voci da mondi diversi. Francia
romanzo di viaggio
Gontran De Poncins, “Kabloona. L’uomo bianco”
Ed.
Adelphi, pagg. 332, Euro 22,80
Era il 1938 quando Gontran De Poncins,
visconte francese e discendente di Montaigne, partì per l’Artico, intenzionato
a passare un anno in quelle regioni desolate, mescolandosi con gli abitanti del
luogo, gli inuit o eschimesi, come
venivano allora chiamati. Solo dei missionari oblati erano arrivati lassù-
unica presenza bianca.
Gontran De Poncins non ha intenzioni scientifiche,
la sua è un’esigenza personale di cambiare vita, di sperimentare un’esistenza
più essenziale, più vera, lontana dalle futilità del suo mondo.
De Poncins lascia Parigi, arriva in Canada, si spinge all’avamposto di King William Land, ma lì c’è ancora una parvenza di civiltà occidentale, c’è un emporio, gli eschimesi che incontra sono già stati ‘contagiati’ dalla civiltà dell’uomo bianco. Più a Nord, deve andare più a Nord.
L’intera prima parte di questo fantastico viaggio è all’insegna dello stupore. Perché una cosa è avere letto, sapere degli usi e costumi della gente sconosciuta che si va ad incontrare, altra è cosa è vivere insieme a loro, apprendere ad interpretare i loro gesti e la loro mimica, adattarsi alle abitudini quotidiane di vita che, sì, diciamolo pure, sono sconvolgenti per un kabloona, un uomo bianco. Non è facile vivere a strettissimo contatto (a strettissimo contatto olfattivo, anche) nello spazio ristretto degli igloo, assaggiare il loro cibo (pesce congelato, foca), abituarsi ai loro ritmi (buffissime le descrizioni dei preparativi per le partenze mattutine), sforzarsi di comprendere comportamenti lontani dalla nostra etica, come il prestarsi le mogli oppure il commettere omicidi a cuor leggero, giustificati da tutta la comunità, quasi non fosse affar loro. E poi acclimatarsi, abituarsi al freddo, anzi al gelo, alle temperature sotto zero anche all’interno dell’igloo, quando il respiro notturno ricopre il viso di una leggera patina di ghiaccio. Il massimo- e l’autore stesso dice che, se glielo dicesse un altro non ci crederebbe- sono i 50 gradi sotto zero all’interno della grotta in cui vive il missionario che De Poncins incontrerà verso la fine del suo viaggio.
Non è facile per De Poncins entrare in
sintonia con gli inuit (gli uomini per
eccellenza, questo il significato del nome). All’inizio è diviso tra
sconcerto e disgusto, gli è impossibile non mettere a confronto questi uomini e
la società da cui viene, è naturale che il loro considerare come di tutti
quello che per lui è sua proprietà- riserve di caffè, tè, tabacco, farina- a
lui appaia un furto e non una sorta di primitivo comunismo. Gli sembra di
essere tornato all’età della pietra. Per un altro verso li ammira. Ammira la
loro capacità di orizzontarsi in quelle distese di bianco infinito e di fiutare
l’arrivo di una tempesta, la sveltezza e la maestria con cui costruiscono un
igloo, la pazienza con cui attendono di catturare una foca quando si affaccia
da un buco nel ghiaccio, accucciati per ore in quella ridicola posizione con il
sedere per aria, la gioiosità con cui prendono parte ai giochi dei bambini.
E poi, quasi senza rendersene conto, De Poncins cambia. Non è solo che fa l’abitudine ad una diversa maniera di vivere che poi è l’unica possibile a quelle latitudini e con quel clima, è che incomincia ad apprezzare quello che lo circonda. Il cambiamento più clamoroso è nel momento in cui vede la bellezza nei lineamenti di una donna e l’altro quando impara a gustare il cibo marcio che fino ad allora gli era sembrato rivoltante, dopo essersi reso conto che l’alimentazione del Fuori (come dall’inizio indica il mondo da cui proviene) non lo avrebbe tenuto in vita nell’Artico. E, quando arriva un altro giovane Kabloona, De Poncins si accorge che gli è estraneo, che tutto quello di cui questi gli parla è irrilevante, che è viziato, che ormai i suoi amici sono gli ‘uomini d’eccellenza’ con cui ha condiviso tutto per un anno intero.
Un libro affascinante, mai noioso.
Affascinante quando ci racconta delle slitte trainate dagli husky (un capitolo
a sé dovrebbe essere riservato a questi cani straordinari), dei giorni chiusi
negli igloo dove la luce ad olio di foca riscalda e addolcisce l’ambiente
mentre fuori soffia la tormenta, della pesca, ma anche quando ci parla delle
contese e dei piccoli imbrogli degli eschimesi, della loro lingua, della loro
semplicità, di come tra di loro si capiscano i valori essenziali. Splendidi i
disegni con cui illustra il suo racconto di viaggio.
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