Voci da mondi diversi. Germania
seconda guerra mondiale
Ralf Rothmann, “Quella notte sotto la neve”
Ed.
Neri Pozza, trad. Enrico Arosio, pagg. 282, Euro 19,00
Inizia nell’ultimo inverno di guerra, il
nuovo romanzo di Ralf Rothmann che conclude la trilogia iniziata con “Morire a
primavera”, seguito da “Il dio di un’estate”. Conosciamo già alcuni dei
personaggi che appaiono più avanti nel libro, quando il tempo si sposta di
alcuni anni, le cicatrici della guerra sono presenti e visibili, nelle persone,
nel paesaggio, ovunque. Oppure sono nascoste nei cuori, soffocate da ricordi
che non si vogliono riportare alla luce.
Nel 1945, mentre l’armata rossa avanza inesorabile, Elizabeth fugge come tanti altri tedeschi da Danzica. Prima su un motocarro, poi a piedi. Avanza a fatica. Ha sedici anni, non riuscirà ad evitare la sorte delle donne in tutte le guerre, quasi siano un lecito bottino per i soldati nemici. E però c’è ancora una speranza di bene, un incontro fortuito con un nemico che si rivela amico, un medico russo della Croce Rossa che la cura, le versa vodka sulle ferite per disinfettarle, la ricuce, le dà l’unico farmaco che ha, dell’ aspirina.
Questa è la storia del passato di Elizabeth,
narrata in capitoli brevi come singhiozzi che si alternano con quelli più
lunghi di un tempo posteriore. In questi la voce narrante è quella di Luisa, la
stessa di “Il dio di un’estate”, che incontra Elisabeth quando questa lavora
come cameriera nel bar di sua madre.
Elisabeth è amata da tutti i clienti del bar, fa sentire speciale ognuno di loro, si ricorda dei loro gusti e delle precedenti ordinazioni, flirta con ognuno. È carina, se non bella. Luisa, che ha la stanza vicino alla sua, sente dei rumori di notte. Un paio di orecchini di perle che Elisabeth sfoggia saranno, anni dopo, rivelatori e causa di un rovescio nelle fortune di Elisabeth e del marito Walter. Riconosciamo Walter- era lui il ragazzo partito per la guerra e protagonista del dramma di “Morire a primavera”. I ricordi lo perseguitano, eppure tira avanti, la sua felicità è nell’occuparsi delle bestie, eppure sarà costretto a cercare un altro lavoro dopo che l’accusa di furto peserà su Elisabeth.
Avranno due figli, Elisabeth e Walter, ma Elisabeth è incapace di amarli, incapace di essere una buona madre. Luisa vede, Luisa racconta, Luisa cerca di capire, Luisa cerca di stare vicino ad Elisabeth. E al mite Walter.
Il dolore dello scrittore si avverte in
tutto il romanzo, nel mettere insieme quanto è accaduto ad Elisabeth in quegli
ultimi mesi di guerra, nello sforzo di comprenderla dopo, negli anni della ‘ricostruzione’
della Germania, quando il peso della colpa grava su tutti. E Walter ed
Elisabeth sono tutti i tedeschi, ognuno con il suo bagaglio di violenza e di
sofferenza, ognuno vittima e carnefice.
Che cosa passa in eredità alla prima generazione
del dopoguerra? Come hanno vissuto i figli di Walter ed Elisabeth? Non bene. Ci
sono voluti anni e anni allo scrittore per riconciliarsi con la storia di sua
madre, per poterne scrivere e mettere un punto al passato. Per girare pagina.
Un altro libro molto bello che chiude il
capitolo di Storia più doloroso della prima metà del secolo scorso.
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