Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
Emilia Hart, “Weyward”
Ed.
Fazi, trad. E. Budetta, pagg. 404, Euro 19,00
Una parola desueta, Weyward. Anche nel “Macbeth” di Shakespeare le tre streghe,
dapprima chiamate “the Weyward Sisters”, divennero
poi “the Weird Sisters”, dove weird significa strano. E fu perché alcune donne erano diverse, si comportavano in
maniera diversa, perché erano ‘strane’ in confronto alle altre che si
adeguavano ad un comportamento remissivo, che in epoche remote (e neppure poi
tanto remote) venivano accusate di stregoneria e bruciate sul rogo.
Weyward
è il nome di una casupola in un bosco nel Nord dell’Inghilterra, sapremo poi
che è anche un cognome, c’è una W incisa su un medaglione che passa di mano in
mano di generazione in generazione, un’altra W incisa nel legno di una stanza-
sarà Weyward, sarà la ‘stranezza’ del comportamento delle protagoniste, il filo
conduttore del romanzo che si articola in tre parti e in epoche differenti,
tutte però con lo stesso atteggiamento verso le donne. Il tempo passa ma certi
atteggiamenti scompaiono difficilmente.
Altha, 1619.
Violet, 1942.
Kate, 2019.
Nel 1619 Altha è rinchiusa in una prigione,
accusata di aver causato la morte del marito della sua amica. Come sarebbe
potuto altrimenti succedere che le vacche di quell’uomo lo avessero travolto,
prese da una furia improvvisa, mentre un corvo roteava alto nel cielo?
Violet è un’adolescente, mentre infuria la
guerra. Sua madre è morta dando alla luce suo fratello- così le è stato detto.
Sa anche di assomigliare a sua madre e ha capito che la cosa non fa piacere a
suo padre. Ha una particolare intesa con piante, insetti, uccelli, sa ascoltare
la voce della natura
Kate vive a Londra insieme ad un uomo,
Simon. Le era sembrato un amore da favola, il loro. Finché lui non l’aveva
obbligata a lasciare il lavoro, finché non aveva iniziato a sorvegliare ogni
sua mossa, a chiuderla in casa, a picchiarla.
In tempi così diversi le tre donne sono unite da quel cognome Weyward, da quella loro stranezza, dalla capacità istintiva di sintonizzarsi con la natura, dall’abilità nel preparare infusi e pozioni che possono guarire e, sì, possono anche uccidere.
Rincorriamo le storie dell’una e dell’altra,
si avvicendano, ci tengono tutte ugualmente legate al racconto. Il primo nato
di una donna Weyward è sempre una femmina destinata a tramandare la loro
‘arte’. La madre di Altha aveva avuto solo lei come figlia, era stata una sua
scelta, e anche lei era stata accusata di stregoneria- era arrivata troppo
tardi per salvare una donna e a lei era stata attribuita la colpa di una morte
inevitabile. Quanto ad Altha- aveva perfino invidiato un poco l’amica che si
sposava, finché questa non aveva cercato il suo aiuto, finché questa non le
aveva mostrato i lividi, e tutto per un bambino che non arrivava o che nasceva
morto.
Violet non si era mai interessata agli
uomini, dopotutto aveva solo sedici anni, ma, quando suo cugino era venuto a
trovarli, ne era rimasta affascinata. Suo padre vedeva di buon occhio un
possibile legame con quel bel giovane eroe di guerra, Violet era inesperta e
ingenua, lui era un mascalzone. Successe quello che doveva succedere, ma non
possiamo non rallegrarci della sottile vendetta di Violet che ci appare chiara
nell’ultima sezione temporale del libro in cui Kate è protagonista.
Kate ha ereditato da una zia che quasi non conosceva (Violet) la casupola nel bosco dove si rifugia, in fuga da Simon. È una nuova Kate quella che affronta questa nuova vita, riflettendo sui suoi errori, sulle sue insicurezze, sui motivi che l’hanno spinta a legarsi ad un uomo sbagliato. Ha comprato un nuovo cellulare, ha prelevato dei soldi, lui non potrà raggiungerla. Oppure sì?
Con un finale spaventoso per Simon ma per
cui noi esultiamo e che ci ricorda il film “Gli uccelli” di Hitchcock, con
l’esito finale della rivalsa di Violet, con una nuova piccola Weyward in questo
mondo, si conclude un romanzo in cui vicende tremendamente reali sono colorate
da un realismo magico del mondo animale che non infastidisce affatto, anzi,
conferisce fascino arcano alla narrativa.
Un libro che si legge d’un fiato.
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