Voci da mondi diversi. Cina
saga
Keyi Sheng, “Crescita selvaggia”Ed.
Fazi, trad. F. Picerni, pagg. 350, Euro 18,50
Siamo
come frutta selvatica che cade a terra da un albero, dice uno dei
protagonisti del libro “Crescita selvaggia” della scrittrice cinese Keyi Sheng
( è “Wild fruit” il titolo dell’edizione inglese). E c’è un’idea di tragico
destino in questi frutti che non saranno raccolti né consumati, proprio come è
in realtà tragico il destino della famiglia Li.
Il vecchio Li, il nonno, compirà cento anni alla fine della narrazione, la storia della sua famiglia copre quindi quasi un secolo. Quattro figli- la maggiore si sposa per sfuggire al padre (in realtà nessuno lo ama in famiglia), la minore, Xiaohan, diventerà giornalista ed è la voce narrante, dei due figli maschi, uno viene arrestato e mandato in un campo di rieducazione (non stava facendo assolutamente nulla, si stava divertendo con degli amici), l’altro, studente universitario a Pechino, viene ucciso durante la manifestazione in piazza Tiennanmen e solo le sue ceneri fanno ritorno a casa.
La famiglia Li vive in un villaggio dello Hunan, provincia montuosa nella Cina Meridionale dove è nato Mao Zedong e dove è nata anche la stessa scrittrice. La voce della Storia arriva ovattata, circolano dicerie sulla durezza dei campi di rieducazione (i Li se ne renderanno conto quando il figlio ritorna, spezzato nel corpo e nello spirito), nessuno sa niente della protesta degli studenti in piazza Tiennanmen, l’unica protesta che un membro della famiglia porterà avanti sarà quella contro il controllo delle nascite. La figlia maggiore non intende smettere di procreare dopo ave avuto due figlie femmine e cerca di tenere nascosta la terza gravidanza, soprattutto dopo aver saputo che è incinta dell’agognato maschietto. Ma non c’è niente da fare perché non riescono a raccogliere abbastanza soldi per pagare la multa esosa che gli è stata richiesta.
La narrazione procede mettendo a fuoco un
personaggio per volta, seguendo le vicende dei Li (il figlio che porterà per
sempre il marchio ‘rieducato’ si sposa con una donna molto ambiziosa il cui
scopo nella vita è guadagnare abbastanza soldi per far studiare all’estero
l’unica figlia) e dei Liu (è questo il nuovo cognome di Chutan e naturalmente
delle due figlie).
Conducono tutti delle tristi esistenze, i Li e i Liu, sia nel villaggio, sia quando si trasferiscono a Pechino. Vite fatte di lavoro, lavoro, lavoro. Il figlio ‘rieducato’, la cui salute non gli permette di fare lavori pesanti, si adatta a pescare rane per venderle, si ammalerà gravemente, non riuscirà a fare neppure più quello. Sua moglie, sarta provetta, si abbasserà ad offrire prestazioni sessuali pur di raggranellare soldi, guadagnandosi il disprezzo della figlia che rifiuta di studiare grazie a quel denaro sporco. Chutan e il marito vedranno finire molto male l’iniziativa di vendere spiedini, per non dire della tragica fine di una delle figlie a cui è impossibile rassegnarsi.
Keyi Sheng dipinge per noi un vasto
affresco della Cina anche se sentiamo la mancanza di riferimenti storici più
precisi, mancanza giustificata dall’ignoranza dei protagonisti che subiscono
tutto quello che accade intorno a loro senza quasi rendersene conto, senza
reagire, abituati ad una disciplina di obbedienza, che passano, con minima
consapevolezza, dal regime socialista di Mao ad una nuova era di consumismo in
cui cercano di inserirsi con scarso successo. L’unica che riesce a fare un
salto in avanti è proprio la narratrice diventata giornalista che vede con
disappunto lo spreco di intelligenza delle nipoti e non riesce ad evitare le
tristissime svolte tragiche finali.
Un albero genealogico ad inizio del libro
aiuta a distinguere ‘chi è chi’ di queste due famiglie con cognomi così simili
e con nomi che fatichiamo a memorizzare.
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