Casa Nostra. Qui Italia
cento sfumature di giallo
Ilaria Tuti, “Figlia della cenere”
Ed.
Longanesi, pagg. 350, Euro 18,60
Quanto le si addice quel cognome. Teresa
Battaglia. Che sia una donna straordinaria lo avevamo già capito nei tre
precedenti romanzi della serie, “Fiori sopra l’inferno”, “Ninfa dormiente” e
“Luce della notte”. Ma in “Figlia della cenere”, giocato su una continua
alternanza di un passato di ventisette anni fa e il presente, veniamo a sapere
contro chi e che cosa Teresa abbia dovuto battagliare, quale forza le ci sia
voluta per risorgere dalle ceneri, quale forza le sia necessaria adesso che è
ancora abbastanza lucida da capire di doversi preparare a perdere se stessa-
perché che cosa siamo se non i ricordi accumulati in una intera vita? E
l’Alzheimer non fa sconti a nessuno.
L’assassino seriale Giacomo Mainardi ha ucciso ancora nel breve tempo passato fuori dall’ambulatorio del penitenziario da cui è riuscito ad evadere. Chiede di parlare proprio con lei, il commissario Teresa Battaglia. È una vecchia conoscenza di Teresa che gli aveva dato la caccia ventisette anni prima. Una conoscenza che- come sapremo- li ha uniti con un filo sottile. Per ventisette anni Teresa è andata regolarmente a trovare Giacomo (lei lo chiama per nome) in carcere. Perché? che legame ci può essere tra una profiler e un uomo profondamente disturbato che ha la necessità di uccidere?
È la storia di due vite che leggiamo nel romanzo. Quella dell’assassino seriale, marchiato da una malformazione a cui si sarebbe potuto porre rimedio e da un doppio rifiuto da parte di uomini che non hanno saputo essere padri, e quella di una donna che deve farsi strada in un mondo di uomini che vorrebbero relegarla al ruolo marginale che le donne hanno avuto per secoli e che è oggetto di violenza nella sua stessa casa, da parte di un marito che finirà quasi per ucciderla. Due vite che la sorte ha portato a incontrarsi e poi a scorrere parallele, finché l’ultima tessera del mosaico va al suo posto ( Giacomo Mainardi è un artista del mosaico, pur con le stranezze con cui sembra giocare, inserendo nelle figure pezzi di ossa sottratte agli uomini- tutti anziani- che ha ucciso) e si può scrivere la parola ‘fine’, non senza aver fatto un tuffo in un passato ancora più lontano che ci ha portato ad esaminare gli splendidi mosaici di Aquileia.
Intanto è stato inevitabile pensare a quanto
sia sottile la linea tra vittima e carnefice, tra un Male che si manifesta
nella sua forma più eclatante e un altro Male che si nasconde nella sua
quotidianità, che è perfino capace di spacciarsi per Bene o perfino per Amore.
Lo dicono i versi di Oscar Wilde, “alcuni
uccidono con uno sguardo d’amarezza,/ altri con una parola adulatoria,/ il
codardo uccide con un bacio,/ l’uomo coraggioso con la spada!”- ci sono
tanti modi per uccidere.
In questo gioco di due personaggi
contrapposti in cui, ad un certo punto, la cacciatrice diventa la preda,
dobbiamo aggiungere una terza figura, l’ispettore Massimo Marini che ha un
ruolo tutto suo, quasi di mediatore tra i due. Marini è ‘cresciuto’ da quando
lo abbiamo conosciuto in “Fiori sopra l’inferno”, dove aveva esordito con
un’imperdonabile gaffe pensando che il commissario Battaglia fosse un uomo.
Nelle due storie in due tempi, di bambini senza padre e di bambini non nati,
Massimo Marini è l’uomo che non è fuggito alla notizia che diventerà padre, che
si occupa del ‘suo’ commissario come il figlio che Teresa non ha mai avuto e
nello stesso tempo le manifesta il rispetto e l’ammirazione dovuti a qualcuno
di cui si riconoscono le capacità. “Ha ancora tanto da insegnarci,
commissario”, le dice e, cercando di infonderle speranza nel futuro, “Lei non è
un poliziotto d’azione. È la mente il suo terreno di caccia”. E allora, forse,
questo romanzo non è un addio ad un personaggio che anche noi, come Massimo
Marini, abbiamo imparato ad amare e rispettare. Ancora di più, dopo aver
appreso attraverso quali fiamme sia dovuta passare, per risorgere poi dalla
cenere.
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