Voci da mondi diversi. Islanda
Ragnar Jónasson, “Notturno islandese”
Ed.
Marsilio, trad. Silvia Cosimini, pagg.230, Euro 17,00
“Notturno islandese”. Un titolo perfetto per
questo romanzo di Ragnar Jónasson, perché suggerisce l’immagine di un paese che
per due mesi interi non vede la luce del sole, perché ci anticipa che quello
che leggeremo è un noir, perché, in qualche maniera, ci comunica un leggero
disagio, una tristezza per ora inspiegabile e che la trama del libro servirà a
giustificare. Perché “Notturno islandese” è un libro molto triste, che porta
alla luce- ma sì, giochiamo su questo contrasto di luce e buio del paesaggio
islandese- i lati oscuri della personalità di molti di noi.
È inverno. Fa molto freddo. Herjólfur, nuovo ispettore a capo della polizia di Siglufjörður, viene ucciso mentre si appresta ad entrare in una casa fatiscente sul limitare della città. Che venga ammazzato un poliziotto è una notizia sensazionale. Che cosa ci facesse lui là, da solo, nessuno lo sa. Sulla porta di una casa abbandonata su cui circolavano molte voci, di fatti lontani e vicini. Di un uomo caduto dal terrazzo tantissimi anni prima, alla presenza del fratello gemello e di un amico, e di un commercio di droga in tempi più recenti.
Ari Þór è incaricato delle indagini. Non ha
ancora acquistato confidenza con il suo nuovo superiore ed è contento che
arrivi da Reykjavic l’ispettore che aveva preceduto Herjólfur per affiancarlo.
La procedura è la solita- si parla con la moglie e il figlio (è da lui che
veniamo a sapere del traffico di droga), si tracciano le telefonate, si cerca
l’arma del delitto. Ci sono poche speranze che Herjólfur riprenda conoscenza e
dica qualcosa, però si scopre che aveva
parlato spesso con il sindaco e che è scomparso un fucile dalla rimessa di un
insegnante locale.
La trama del romanzo suscita ben pochi brividi (che non siano per il freddo polare) ed è tutta giocata sui segreti, su quello che ognuno nasconde o tace. Come se ogni persona racchiudesse in sé la doppia personalità di Dr. Jekyll e Mr. Hyde, a diversi livelli di male. Ad iniziare da Ari Þór che cerca di scacciare il pensiero che la morte di Herjólfur gli sgombrerebbe la strada per essere nominato ispettore capo, alla moglie che è tentata di tradirlo, alla sorella dell’amico del gemello morto nella casa dei fantasmi, al sindaco e alla sua vice, a Herjólfur stesso, infine, da cui proprio non ci saremmo aspettati quello che apprendiamo.
E, con la rivelazione finale in cui tutto si spiega, comprendiamo anche il diario, scritto in corsivo, che intervalla la narrazione e che raddoppia, se possibile, la nostra tristezza. È difficile distinguere chi sia colpevole e chi sia vittima. Difficile non chiedersi che cosa contribuisca a certi comportamenti- quanto sia eredità genetica, quanto l’esempio assimilato pur inconsciamente, quanto una debolezza caratteriale o una superficialità etica. E, se non sapessimo che, purtroppo, gli stessi crimini vengono commessi ovunque, saremmo tentati di attribuirne la colpa al clima, al freddo e al buio, come recita la frase conclusiva delle note dell’autore, tratta da un articolo del nonno suo omonimo, quando dice che, al ritorno dei mesi estivi senza notte, tutti i mali dell’inverno vengono allora spazzati via.
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