Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Corea
William Andrews, “Le figlie del dragone”Ed.
Superbeat, trad. Chiara Brovelli, pagg. 298, Euro 18,00
È così che Anna si ritrova, insieme al padre
che l’ha accompagnata, nella sala d’attesa di un orfanotrofio di Seoul, per
sentirsi dire che sua madre è morta dandola alla luce. È delusa, Anna? Forse,
forse si era immaginata di conoscere anche dei fratelli e delle sorelle. Mentre
sta andando via, però, viene raggiunta da una donna anziana che le mette in
mano un pacchettino e le chiede di
andare da lei, da sola, all’indirizzo che le ha scritto. Quando Anna srotola il
tessuto che avvolge il pacchetto, si trova tra le mani un oggetto bellissimo
che sa di antico, che sa di una storia che deve esserle rivelata. È un pettine
di tartaruga con il dorso d’oro e il manico d’avorio in cui, con un lavoro
finissimo, è intagliato un drago a due teste. E- un dettaglio che le verrà fatto
osservare in seguito- cinque dita nelle zampe.Mugunghwa, fiore simbolo della Corea del Sud
La vecchia signora è la nonna materna di
Anna, Anna con il nome palindromo che porta in sé la sua duplice identità,
quella americana e quella coreana che però ha un altro nome, Ja- young, il nome
di un’imperatrice.
La storia di Hong Jae-hee è una storia tragica di cui abbiamo già letto ma che, nel romanzo di William Andrews si arricchisce di un elemento politico con la Storia di una doppia Corea (un altro doppio, dopo quello dell’identità di Anna?). Inizia nel 1943 quando Hong Jae-hee e la sorella maggiore, obbedendo all’ordine dei giapponesi che dal 1910 hanno assoggettato la Corea, si presentano per lavorare in una fabbrica di stivali. Si tratta di tutt’altro. Insieme ad altre ragazze, ignare quanto loro, sono destinate ad essere ‘le donne di conforto’ dei soldati giapponesi. Quale ironia in questo eufemismo che definisce le schiave del sesso per cui neppure la parola prostitute è adeguata.
Una prostituta viene pagata, invece queste ragazze dovrebbero sentirsi onorate di offrire conforto ai soldati, al ritmo di trentacinque al giorno. Stuprate, maltrattate, obbligate a sottostare ad ogni ignobile richiesta, sempre affamate, costrette ad abortire se restavano incinte e quasi sempre destinate a morire di conseguenza. E Jae-hee aveva solo quattordici anni.
È veramente il drago intagliato nel pettine che le porta fortuna, che le permette di scampare alla strage finale, quando ormai i giapponesi sanno di aver perso la guerra, di fuggire, di trovare aiuto unendosi ai comunisti di Pyong-yang che seguono il leader Kim Il?
Ci vogliono ore alla nonna per raccontare
la storia della sua vita, che non finisce a Pyong-yang ma continua con un’altra
fuga in cui Jae-hee deve tenere nascosto il suo passato, per vergogna quello
come ianfu e per prudenza quello come
comunista. Deve arrivare a dirle della sua nascita, del nome che le aveva dato.
Soprattutto deve dirle la storia del pettine e del drago che, con le due teste
rivolte in due direzioni diverse, difende la Corea dalla Cina e dal Giappone.
vaso di ceramica celadon
“Le figlie del dragone”, con un epilogo che
lascio a voi scoprire, è un romanzo che appassiona, che unisce la realtà di una
Storia per cui tuttora le poche donne superstiti cercano giustizia (il Giappone
ha sempre tergiversato e non ha mai riconosciuto del tutto le sue colpe e
tantomeno risarcito adeguatamente le vittime), con quella della Storia più
recente della guerra civile e con una storia fantastica che sa di leggenda e di
antichi miti. È come se il romanzo volesse sottolineare il valore dell’inestimabile
patrimonio culturale di un paese antico, diverso ma non di certo inferiore
rispetto all’America e a quello che il suo nuovo mondo rappresenta. Soltanto
scoprendo il suo paese di origine Anna dal doppio nome riuscirà a conciliare la
sua doppia identità in questo che è, anche e forse soprattutto, un romanzo
sulla ricerca di un’identità sradicata e trapiantata.
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