Voci da mondi diversi. Russia
autobiografia
Ljudmila Petruševskaja, “La
bambina dell’hotel Metropole”
Ed. Brioschi, trad. Marcucci e Zonghetti, pagg. 268, Euro 18,00
Se l’hotel Metropole di Mosca potesse parlare…Racconterebbe di tutte le
persone che sono passate sotto i lampadari di cristallo dal giorno della sua
inaugurazione nel 1905, ad iniziare da Rasputin che vi organizzava i suoi
sfrenati festini, fino a quando, via i lampadari, via i mobili pregiati,
sostituiti da lampade a cherosene e
panche di legno, basta nobili ospiti, avanti i bolscevichi che ne fecero il
loro quartier generale.
Sono nata nell’albergo Metropole,
una specie di seconda Casa dei Soviet con le stanze occupate da vecchi
bolscevichi- tra cui mio bisnonno Tato, membro dal 1889 del Partito
socialdemocratico russo.
Inizia così il breve romanzo autobiografico della scrittrice russa
Ljudmila Petruševskaja, vincitrice del più importante
premio letterario russo, dapprima pubblicata clandestinamente e nota soprattutto
ai conoscitori della letteratura russa underground.
Samara |
La data che segna la vita della bambina del Metropole come uno
spartiacque è il 1941 quando, a causa della guerra, la sua famiglia fu evacuata
da Mosca a Kujbishev, ora Samara- un viaggio lunghissimo in treno che la bimba
Ljudmila fece in braccio al bisnonno Tato che si era fatto canguro per lei,
avvolta nel tepore della sua pelliccia di lupo. E poi, un paio di anni più
tardi, la mamma ritornò a Mosca a studiare, lasciando la bambina affidata a sua
madre e a sua sorella- il padre di Ljudmila si era volatilizzato da un pezzo,
lei lo avrebbe rivisto, fuggevolmente, quando aveva tredici anni.
È sconvolgente leggere dell’infanzia della scrittrice, della grande
fame, con una tessera annonaria che concedeva 300 gr. di pane al giorno
(ammesso che ce ne fosse ancora quando arrivava il loro turno), del freddo (la
bambina non poteva andare a scuola: restava tutto l’inverno in casa perché non
aveva le scarpe. E non aveva neppure le mutandine, faceva un nodo alla
maglietta tra le gambe), dei giochi in strada, dei pericoli corsi quando lei,
emarginata da tutti, veniva invitata ad andare dietro la staccionata con dei
ragazzini che le assicuravano protezione se lei ‘ci stava’, dell’accattonaggio
di cui aveva imparato le strategie, di quella insaziabile voglia di libertà che
la faceva scappare di continuo da casa, tanto più se veniva rinchiusa.
Più
tardi la madre, dopo averla riportata a Mosca, non sapendo come gestire una
bambina così ‘selvaggia’, l’aveva mandata al campo dei pionieri e poi in un
istituto per bambini denutriti. Con tutto questo, con alloggi di fortuna,
condividendo una stanza con il nonno, dormendo sotto il tavolo, in qualche modo
questa bambina è riuscita a diventare la giovane donna che iniziò a scrivere
come giornalista per passare poi al teatro, su cui la censura era meno stretta
al tempo della perestrojka, e a pubblicare novelle e romanzi. Straordinario.
Una donna straordinaria con una vita straordinaria che è una lezione per tutti
noi. Uno stile vivace che trasforma lo squallore e le difficoltà in
un’avventura, in una sfida, in una battaglia da cui bisogna uscire vincitori.
interno del Metropole |
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