Voci da mondi diversi. Canada
mystery
distopia
Christian Guay-Poliquin, “Il peso della neve”
Ed. Marsilio, trad. F. Bruno, pagg.
245
All’origine di tutto c’è un black-out. Poi una nevicata implacabile.
Metteranno in ginocchio un intero villaggio.
I personaggi: un vecchio che cercava un meccanico per la sua auto. Dopo
il black-out è rimasto bloccato nel villaggio. Scalpita perché ha lasciato la
moglie in ospedale e deve assolutamente tornare da lei- sono sposati da più di
cinquant’anni, vuole starle vicino.
Un uomo più giovane, di età indefinita: stava tornando al villaggio da cui si
era allontanato più di dieci anni prima, voleva rivedere il padre che faceva il
meccanico, proprio come lui adesso, un incidente di macchina ha sfasciato la
sua auto e lui è vivo per miracolo. Gli abitanti del villaggio, che sono come
delle comparse- gli zii del giovane che appaiono e scompaiono subito (andranno
nel casino di caccia, dicono che torneranno presto, non riappaiono più), il
vigile che decide di affidare al vecchio il giovane, che è stato operato alle
gambe in una qualche maniera- si occuperà lui di rifornirli di cibo
e legna-, la bella veterinaria che cura il ferito, il farmacista, l’uomo che
raccoglie vuoti di bottiglia. Non conosciamo il nome del protagonista che ha
avuto l’incidente e che è anche la voce narrante, tutti gli altri personaggi
hanno un nome tratto dal vecchio o nuovo testamento che incomincia per G.
Uniche eccezioni, il vecchio Matteo e la bella veterinaria Maria, la donna per
eccellenza, due M come i personaggi nei libri di Samuel Beckett.
Nevica. Incessantemente. Un nivometro piantato da Matteo nella neve
indica il livello di profondità di quel mantello bianco. I numeri che
introducono i capitoli lo fanno sapere a noi lettori: 38 nel primo capitolo,
273 il culmine. Un uomo inchiodato a letto e che soffre atrocemente e un
vecchio che si prende cura di lui. Un uomo che non parla e l’altro, che
potrebbe essere suo padre, che legge i libri che trova nella casa in cui hanno
trovato rifugio e poi li racconta come se fossero amene storielle. Un libro
parla della selva oscura che poi porta all’Inferno. Un altro racconta dell’uomo
che festeggia il ritorno del figliol prodigo. Ogni tanto arriva il vigile con
nuove scorte, la veterinaria per medicare le gambe dell’infortunato. Ogni tanto
il vecchio scende al villaggio, ci vorrà molto prima che il narratore riesca ad
avventurarsi fuori casa.
La forza del romanzo sta nel contrasto tra il biancore accecante del
paesaggio e le ombre che si addensano sulle vite dei personaggi- il cibo deve
essere razionato, scarseggia, non ce n’è più, le medicine mancano e c’è
un’epidemia di influenza, corrono i ‘si dice’. ‘Si dice’ che qualcuno sia
riuscito a derivare energia dalle pale eoliche. Qualcuno fugge- come, se la
benzina non c’è più? dove riusciranno ad arrivare? I rapporti umani si
deteriorano. Il vecchio e il ‘giovane’ non sono mai diventati del tutto amici,
eppure verrà il momento in cui si invertirà la dipendenza dell’uno dall’altro,
ci sarà il giorno in cui il ‘giovane’ ripagherà il vecchio per le sue cure. Non
dopo essere passati, però, attraverso il peggio, un inferno non di fiamme ma di
ghiaccio. E anche il mito di Dedalo e Icaro, che sottende tutta la narrazione,
acquista un nuovo significato nel finale.
La lettura scorre veloce, ci viene da pensare alle atmosfera della
‘camera chiusa’ di Agatha Christie, al suo famoso romanzo “La trappola per
topi” nella casa isolata dalla bufera di neve. La minaccia nel libro del
canadese Christian Guay-Poliquin non viene, però, dal singolo ignoto assassino,
è più vasta. Una nevicata così eccezionale e il black-out da consumi eccessivi
che ne consegue sono forse riconducibili a cambiamenti climatici di cui siamo
tutti responsabili?
Un singolare romanzo metaforico della distopia.
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