Voci da mondi diversi. Corea
saga
Min Jin Lee, “La moglie coreana”
Ed. Piemme, trad. F. Merani, pagg.
593, Euro 18,70
Dalla Corea al Giappone, quasi un secolo di storia coreana attraverso
quattro generazioni di una famiglia: se leggere significa non essere mai soli,
se vuol dire viaggiare con la mente in paesi e tempi diversi, iniziate la
lettura de “La moglie coreana” di Min Jin Lee e sarete trasportati altrove,
coinvolti in una Storia di cui sapevamo poco o nulla, in compagnia di
personaggi che amerete.
All’inizio del libro la Corea è stata da poco annessa al Giappone.
Hoonie, figlio di un pescatore, zoppo e deturpato da un labbro leporino, sposa
la quindicenne Yangjin. Solo una dei loro figli, Sunja, sopravvive alla prima
infanzia, diventa un’adolescente non bella ma attraente, si innamora- meglio,
viene irretita da un affascinante coreano che vive per lo più in Giappone, un
uomo dagli abiti eleganti e scarpe bianche che fa il commerciante ma che
appartiene alla banda criminale della yakuza.
Naturalmente lui è sposato, naturalmente lui la mette incinta. E’ anche
disposto a mantenerla come amante, ma Sunja non vuole. La aspetta il disonore e
la solitudine. La sua salvezza arriva da un pastore anglicano a cui lei e la
madre hanno dato alloggio e salvato la vita: si offre di sposarla, di
riconoscere il bambino come suo e di portarla con sé dal fratello in Giappone.
Era un preambolo necessario, perché da questo punto la scena si sposta
ad Osaka (in seguito sarà a Yokohama e Tokyo) e diventiamo testimoni delle
difficoltà dei coreani immigrati in Giappone, considerati degli esseri
inferiori, pesantemente discriminati, esclusi dalla maggioranza dei lavori,
costretti a vivere in tuguri sulla soglia della povertà. E’ la storia degli
immigrati di qualunque nazionalità, in qualunque angolo del mondo, divisi tra
il desiderio di essere accettati e quindi in qualche maniera integrarsi, e
quello di mantenere vive le proprie tradizioni e la propria identità. Noa, il
figlio maggiore di Sunja, che non sa chi sia il suo padre naturale, diventa il
migliore esempio di questa scissione di identità. Intelligente, studioso,
ambizioso, vorrebbe cancellare la sua origine coreana. Quando viene a sapere
chi è veramente suo padre e quale sia l’origine dei soldi che gli hanno
permesso di frequentare la migliore università del Giappone, Noa crolla. Il suo
destino forse era segnato fin dall’inizio, quando la madre si era imbarcata al
seguito del generoso pastore intenzionata a non dire mai la verità al figlio.
Eppure, nonostante gli errori, nonostante le limitazioni dovute alla mancanza
di cultura, sono le donne le figure trionfanti di questo romanzo. Sunja e sua
cognata- diventata una sorella per lei- si impegnano per guadagnare qualche
soldo durante gli anni in cui il marito di Sunja è in prigione per non aver
reso debito omaggio formale all’Imperatore.
Vendono al mercato kimchi fatto in casa, lavoreranno poi in
un ristorante. Stanno andando contro la volontà del cognato di Sunja, contro la
tradizione che giudica disonorevole per una donna lavorare. E non è questa
l’unica vecchia norma ad essere infranta. Il figlio minore di Sunja troverà un
impiego in un pachinko (questo il
titolo originale, “Pachinko”- il nome dei locali così diffusi tuttora in
Giappone dove si gioca d’azzardo con le macchinette). Tutti sanno che i pachinko sono gestiti da coreani
malavitosi che fanno parte della yakuza:
starà a lui, Mosezu, e poi a suo figlio Solomon (bella anche la storia che
riguarda Solomon) dimostrare che si può essere coreani ed essere onesti, anche
se è difficile cancellare la nomea.
I grandi avvenimenti della Storia rimangono nello sfondo. L’occupazione
della Manciuria da parte del Giappone, le donne coreane rapite per farne
schiave del sesso, la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki- ne apprendiamo da
quello che si vocifera, vediamo la vita distrutta del cognato di Sunja rimasto
gravemente ustionato, il faticoso riprendere dell’economia, gli americani che,
dall’essere i nemici, diventano l’esempio da imitare. E’ la Storia vissuta da
chi ne sta ai margini, impegnato nella lotta per la sopravvivenza.
Min Jin Lee ha una bella scrittura che supera brillantemente i salti
temporali della narrazione. Un libro vivido e pulsante.
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