Voci da mondi diversi. Giappone
premio Nobel
il libro ritrovato
Kenzaburō Ōe, “Il bambino scambiato”
Ed. Garzanti, trad. Gianluca Coci, pagg 424, Euro 24,00
Titolo originale: Torikaeko
(Chenjiringu)
“In
ogni caso, non permetti mai che il lettore dimentichi che l’autore del libro
che tiene tra le mani è Chōkō
Kogito. E questo vale per ogni tuo singolo romanzo. Perché tutta questa tua
smania di presenziare così attivamente tra le pagine dei tuoi lavori? In fondo-
non lo dico solo in senso negativo, non mi fraintendere- sei uno scrittore come
tanti altri.”
Kogito, un anziano e famoso scrittore
giapponese, ha preso l’abitudine di ascoltare regolarmente i nastri delle
audiocassette registrate per lui dall’amico e cognato Gorō che è un regista conosciuto in patria
e all’estero: contengono ricordi, riflessioni, critiche, citazioni letterarie, osservazioni.
La voce di Gorō
si esprime in un lungo monologo che tuttavia Kogito non avverte come tale,
perché a tratti ferma l’apparecchio, interviene come se l’amico fosse presente
e potesse sentirlo: è un modo come un altro per restare in contatto, con questa
vecchia apparecchiatura che ormai nessuno usa più e che richiede, per
l’ascolto, l’uso di due grosse cuffie che a Kogito hanno sempre fatto pensare ai
tagame, enormi scarabei d’acqua che
catturava da bambino. E “Tagame” è rimasto il nome in codice tra Kogito e Gorō per parlare delle audiocassette.
Una sera il nastro che Kogito sta
ascoltando termina sulle parole, “Per adesso non c’è altro. Sto per trasferirmi
in un altro mondo”. Poi un tonfo. Dopo non molto la moglie di Kogito entra
nella stanza per dirgli che suo fratello si è suicidato gettandosi nel vuoto da
un tetto.
Il romanzo di Kenzaburō Ōe (premio Nobel per la letteratura nel 1994) non ha
un andamento lineare dopo questo inizio. Procede avanti e indietro nel tempo,
perché la morte di Gorō
porta inevitabilmente alla memoria il passato che hanno condiviso, mentre il
tentativo di Kogito di staccarsi dalla ‘dipendenza’ del Tagame (quasi
un’ossessione per lui, ormai) accettando l’invito di recarsi a Berlino, si
conclude con un’ulteriore riavvicinamento all’amico che non solo passò del
tempo nella stessa città, ma qui conobbe e si innamorò di una ragazza molto
giovane (ne aveva parlato, infatti, nel Tagame). “Il bambino scambiato” è,
fondamentalmente, un romanzo autobiografico: è facile anche per noi lettori
occidentali riconoscere Kenzaburō
Ōe nel
personaggio a cui lo scrittore ha dato un nome che è un chiaro omaggio al Cogito ergo sum descartesiano, che ha un
figlio disabile e che ha vinto il Nobel, e i giapponesi non fanno fatica a
capire che sotto le spoglie di Gorō
si nasconde il regista Juzo Itami, cognato di Kenzaburo e morto nel 1997
suicidandosi come Gorō.
D’altra parte una delle critiche che Gorō rivolge a Kogito è proprio questa, di non permettere mai,
“in ogni singolo romanzo”, “che il lettore dimentichi che l’autore del libro
che tiene tra le mani è Chōkō Kogito”. Sembra quasi che, nella dialettica tra i
due personaggi, Kenzaburo Ōe voglia
mostrare la sua consapevolezza di quello che i critici trovano a ridire sul suo
stile “dissociato e disgregato”, sulla lettura che risulta “ostica” dei suoi
romanzi. Perché, in effetti, è questa l’impressione che abbiamo a tratti,
leggendo il romanzo che sembra non arrivare mai a quello che è il punto
centrale: che cosa è successo la volta che i due amici si erano trovati insieme
nel centro di addestramento di un ambiguo nazionalista che programmava una
protesta contro il trattato di pace? Quando li aveva visti tornare a casa, la
sorella di Gorō che adesso è moglie di Kogito aveva intuito subito che il
fratello era profondamente cambiato. Questo tema del cambiamento viene
rielaborato in tutta l’ultima parte del romanzo, collegato con una insolita
variante tratta da un libro di racconti illustrati- la storia di una bimba
rapita da dei folletti maligni e sostituita
con una ‘controfigura’ di ghiaccio- e infine con l’attesa della nascita di un
bambino che, pur non avendo nessun legame di sangue con Gorō, lo potrà, forse, sostituire.
Ci si trova in
soggezione nello scrivere di un autore universalmente acclamato e a cui è stato
conferito il premio che è il massimo riconoscimento nel mondo della
letteratura. Si procede con cautela nell’esprimere giudizi e, tuttavia,
terminata la lettura de “Il bambino scambiato”, si resta con una certa
insoddisfazione, come quando, dopo un lungo e faticoso cammino, si arriva ad
una meta che non risponde alle nostre aspettative.
la recensione è stata pubblicata da www.wuz.it
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