Casa Nostra. Qui Italia
prima guerra mondiale
romanzo di formazione
il libro dimenticato
Paolo Malaguti, “Sul Grappa dopo la vittoria”
Ed. Santi Quaranta, pagg. 162,
Euro 13,00
Il Grappa non è una montagna. Meglio, non è
soltanto una montagna. Al di là della retorica del ‘monte sacro alla Patria’,
il Grappa è la nostra memoria collettiva, è un gigantesco tumulo mortuario, è
guerra e sofferenza, coraggio e disperazione, altruismo e, sì, anche atti di
umana vigliaccheria. Furono tre le grandi battaglie combattute sul Grappa, tra
il novembre 1917, dopo la disfatta di Caporetto, e l’ottobre dell’anno seguente-
12.615 i morti italiani, è il numero di quelli che hanno trovato eterno riposo
nel Sacrario militare costruito negli anni ‘30. Di questi, 2.283 non sono stati
identificati. Non c’è bisogno di spiegare il perché.
“Primavera
1919. Si trattava di salire in Grappa, all’alba.” Non ha ancora compiuto
undici anni il ragazzino protagonista e voce narrante di “Sul Grappa dopo la
vittoria” di Paolo Malaguti. Non sale per un allegro pic nic, all’alba, poi.
Lui e il padre andranno sul Grappa per fare quello che tutti fanno, in paese-
per raccogliere quello che si può, ferro, rame, quello che è rimasto
abbandonato lassù dall’esercito per poi venderlo. Se si trovassero anche delle
scatolette di cibo, tanto meglio in tempi così difficili, a pochi mesi dalla
fine della guerra. E la famiglia del ragazzo è fortunata, ci sono ancora tutti,
il padre è tornato, magro, incupito, silenzioso, ma vivo. Il ragazzo è
orgoglioso di aiutare, aveva guardato la guerra con gli occhi di un bambino,
come qualcosa di eccitante a cui avrebbe voluto partecipare, finché, un giorno,
aveva visto un corpo tranciato a metà da una granata. Era stato il suo primo
sguardo sulla morte. Traumatico, ma niente al confronto di quello che lo
aspetta sul Grappa. Perché suo padre, ad un certo punto, si era fermato e lo
aveva mandato avanti da solo.
Anni dopo, quando il ragazzo faceva già il
ginnasio (il primo a studiare in una famiglia di contadini) e avrebbe voluto
sapere, il padre gli aveva detto, “dea guera no te digo gnent. Gnent. A ghe xe
stata…no ghe xe stat gnent. Gò fat robe brute, brute”, e lui, il figlio, non
aveva avuto bisogno di altre parole. Ricordava il miasma infernale che gli era
venuto incontro mentre saliva in quella primavera del 1919. Ricordava i corpi o
i miseri resti. Perché era stato un lungo, difficile e doloroso lavoro di
risanazione, quello dell’esercito sul Grappa dopo la vittoria. Una vittoria
costata una carneficina.
Ogni volta che leggiamo un romanzo di
formazione (‘forse tutti i romanzi sono, in qualche misura, dei romanzi di
formazione’, mi ha detto di recente uno scrittore) ricordiamo che la tappa
fondamentale di una crescita, la svolta nella vita che fa diventare grandi, è
l’incontro con la morte. Il giovane narratore del romanzo di Malaguti non incontra semplicemente la morte, non
passa accanto alla morte, ci piomba in mezzo. E non è la morte serena di chi
termina l’esistenza nel proprio letto, è ben peggio anche della morte di chi,
purtroppo, è irriconoscibile dopo lunga malattia. E’ una morte contro natura, è
la morte inflitta da armi da fuoco, da granate che hanno straziato i corpi, è
il dopo-morte dell’abbandono dei cadaveri a cielo aperto in attesa di bestie e
uccelli che completino lo sfacelo. E’ sconvolgente. Adesso il ragazzo capisce
suo padre che tace. Adesso c’è bisogno di andare avanti, di mettersi la guerra
alle spalle. Il ragazzo proseguirà gli studi, frequenterà le scuole superiori a
Bassano, un’inevitabile senso di estraneità lo separerà dal padre. Ci saranno
gite in bicicletta con l’amico Guido e poi- altra grande tappa nei romanzi di
crescita- la scoperta dell’amore.
Romanzo d’esordio di Paolo Malaguti, “Sul
Grappa dopo la vittoria” anticipa alcuni temi
di “Prima dell’alba” (pubblicato lo scorso settembre), soprattutto
rivela l’interesse dello scrittore per una guerra di cento anni fa di cui non
si è ancora detto tutto.
Lo sguardo del ragazzino sulla guerra è quello di
un’infanzia che finisce bruscamente e c’è una sorta di pietas innocente negli occhi del protagonista che sale sul Grappa,
un chiedere scusa ai morti, un inspiegabile senso di colpa collettivo per tutto
quello che è accaduto.
E’ un libro da leggere e da far
leggere nelle scuole, ai ragazzi che giocano alla guerra.
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