Voci da mondi diversi. Europa dell'Est
la Storia nel romanzo
FRESCO DI LETTURA
Liliana Lazar, “I figli del diavolo”
Ed. 66th and 2nd, trad. C. Diez, pagg.
233, Euro 16,00
Bucarest. Metà degli anni ‘70. La dittatura
di Ceauşescu inaugura
una politica demografica per cui ogni famiglia deve avere almeno quattro figli per aumentare la popolazione- nel
numero sta la forza, lo pensavano anche Hitler e Mussolini. L’aborto è
perseguibile per legge, dunque. Con un duplice risultato: le donne disperate si
rivolgono a chiunque che, per soldi, le sbarazzi dell’indesiderato bambino e
molto spesso ci lasciano la vita, e fioriscono, d’altro canto, le delazioni.
Sempre per soldi, in una Romania in cui si fanno code per qualunque acquisto,
si denuncia la vicina che ha abortito o la fattucchiera o il medicastro che ha
praticato l’aborto.
Elena Cosma, sulla quarantina, sgraziata e
single, fa la levatrice- quanti bambini ha fatto nascere (di quanti, anche, ha
impedito la nascita- per soldi pure lei) e lei non è mai diventata madre. Ha
dei rimpianti, ora. E ha un’idea. Molti bambini vengono abbandonati alla
nascita: perché non può prenderne uno lei e crescerlo come fosse il suo? Poi ha
ripensamenti- dovrebbe far sparire dei documenti, e inoltre, come essere certi
di un buon patrimonio genetico del bambino? Un giorno spunta un’opportunità
felice. Si presenta una giovane vedova dai capelli rossi che è incinta e non vuole un terzo figlio. E’ bella e signorile, il marito era un
bell’uomo, un militare. Elena si accorda con lei. Elena simulerà una gravidanza
e, quando scadrà il termine, prenderà lei il bambino. Che sarà un maschietto, Damian. Bello, con i capelli
rossi come la madre. La quale, ad un certo punto, incomincia a farsi vedere
sempre più spesso. Ed Elena Cosma chiede un
trasferimento a Prigor, in un angolo della Romania in cui difficilmente sarà
rintracciata.
Ad Elena era sembrato facile- io voglio un bambino, tu non lo vuoi, io
mi prendo il tuo e diventa mio. Poi, però, si vive sempre con la paura. Nessun
rimorso, nessun dubbio di aver fatto qualcosa di sbagliato, persa una madre
Damian ne ha acquistato un’altra. Bisogna inventarsi un marito e padre, però.
Per gli altri che fanno domande, per il bambino che viene chiamato ‘bastardo’.
E i problemi delle donne sono uguali a Prigor come a Bucarest. Anzi. A Prigor è
più facile morire per un aborto mal praticato oppure essere denunciati per
averlo tentato. Elena è nella posizione di sapere molte cose- ricatto per
ricatto, lei tacerà se gli altri tacciono.
Ceausescu |
E poi, su suggerimento di Elena, viene inaugurato un orfanotrofio a
Prigor. E’ tristemente drammatico che in un luogo dimenticato da Dio siano
portati torme di ‘figli del diavolo’, come vengono chiamati i bambini che
nessuno vuole, che non sono necessariamente orfani, che alloggiano
nell’orfanotrofio come piccole bestie, affamati, ammalati di denutrizione e
d’altro, laceri e sporchi, soggetti ad abusi e maltrattamenti. Che uno dei
sorveglianti sia soprannominato ‘l’Impalatore’ dice tutto. Elena cerca di
proteggere Damian da tutto questo- non fa che ripetergli che lui è un figlio di
Dio, certo non assomiglia a lei, assomiglia al padre. Riuscirà a difenderlo? Il
finale di questo libro agghiacciante mette i brividi.
Come nello splendido romanzo “La crociata
dei bambini” di Florina Ilis, i bambini sono le vittime protagoniste del libro
di Liliana Lazar, scrittrice rumena nata in Moldavia e trasferitasi in Francia
dopo la caduta di Ceauşescu.
Se le madri, obbligate a generare fino all’età di 45 anni, mi fanno pensare al
distopico “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood (quanto si avvicina la
finzione alla realtà!), sono sempre i bambini a pagare il terribile prezzo di
una sciagurata politica demografica, sia che intenda limitare
indiscriminatamente le nascite (e penso alle bambine uccise o abbandonate sui
marciapiedi delle stazioni in Cina), sia che invece miri ad aumentare la
popolazione. E’ così facile infierire sui più deboli, abusare della propria
forza o del proprio potere per trasformare i bambini in vittime. E se di diavolo
si deve parlare, sono gli uomini a rivestirne i panni.
Molto bella questa recensione!
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