vento del Nord
romanzo di formazione
FRESCO DI LETTURA
Hella Haasse, “L’amico perduto”
Ed. Iperborea, trad. Fulvio
Ferrari, pagg. 142, Euro 16,00
“L’amico perduto”- che tristezza, che
rimpianto, già nel titolo di questo breve primo romanzo di successo della
scrittrice nederlandese Hella Haasse. Perché, mentre leggiamo, dopo la
leggerezza di tono e lo splendore di colori delle pagine iniziali, le ombre si
incupiscono- non è soltanto la perdita di un amico che si finirà per piangere.
Con l’amico si perderà anche l’aura dorata dell’infanzia, il protagonista
narratore smarrirà il suo senso di appartenenza, non riconoscerà più quella
che, fino a quel momento, ha considerato la sua terra, la sua patria. Con un
senso di vertigine si renderà conto che il luogo in cui è nato non è mai stato suo, e se quel paese non era suo, quale lo era, allora? Quello freddo
e lontano da cui era arrivato suo padre e di cui lui sapeva poco o niente? Il
vuoto si spalanca davanti a lui. E il deserto della solitudine.
una giovane Hella Haasse |
Hella Haasse, scomparsa nel 2011, è nata a
Batavia- suo padre era un funzionario rappresentante del governo olandese nelle
colonie. Tranne che per alcuni periodi passati dalla nonna in Olanda, anche
Hella Haasse, come il protagonista del romanzo, è cresciuta a Giava, ha
frequentato la scuola locale trovando più naturale parlare l’indonesiano piuttosto che l’olandese. Deve aver conosciuto
molto bene i sentimenti di cui parla il suo personaggio, il senso di
appartenenza all’unica terra che avesse mai visto negli anni in cui i ricordi
si impiantano nel cuore e nella mente e lo sconcerto provato alla scoperta di
essere invece un estraneo. E’ la propria identità che viene messa in dubbio, in
bilico tra due mondi. Perché lui, il narratore, non può essere come Urug,
l’amico di sempre, nato lo stesso giorno in cui è nato lui, compagno di giochi
e di esplorazioni? Imparerà in maniera brutale che no, lui non può proprio essere
come Urug, che un’amicizia non è per sempre, che solo da bambini la nazionalità
è qualcosa senza significato, così come le parole ‘colonizzatore’ e ‘sfruttato’
non hanno senso.
Ci si mette il destino a far sì che
l’amicizia dei due ragazzi diventi più grande. Se la stupidità dei bianchi non
avesse causato la tragedia in cui una vita era stata salvata e una era stata
persa, Urug non avrebbe certamente studiato, lo stretto contatto si sarebbe
allentato. Il percorso dei due è stranamente simile e diverso. Più il narratore
vorrebbe affermare la sua appartenenza indigena, più Urug, che ha il diritto a
quell’appartenenza, se ne vuole distaccare. Urug arriva a rinnegare la sua
famiglia, mentre il protagonista, che non ha più una famiglia da quando la
madre se ne è andata e il padre si è risposato, darebbe qualunque cosa per
averne una.
La parabola dell’amicizia tra il ragazzo olandese
e Urug è anche quella della storia del rapporto tra le Indie olandesi e la
madre patria in questo bel romanzo di una duplice formazione che prende
sentieri opposti. Quando il protagonista ormai adulto ritorna dall’Olanda (come
si può vivere in un paese così grigio quando negli occhi e nel cuore si ha il
verde lussureggiante di Giava?), c’è stata la guerra, l’Indonesia non è più una
colonia olandese, gli olandesi sono i precedenti sfruttatori, sono i nemici.
Urug è scomparso, travolto dalla Storia. Anche la casa dei ricordi è scomparsa.
E l’uomo che il narratore incontra sulla collina, pronto ad ucciderlo, è Urug?
Oppure no, è uno dei tanti Urug che da amici si sono trasformati in
vendicatori?
Avvertiamo la sofferenza della scrittrice
nelle pagine de “L’amico perduto”. Avvertiamo che non è solo il legame di
amicizia che viene spezzato. Sentiamo che c’è nostalgia e senso di colpa,
rimpianto per un paradiso perduto.
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