vento del Nord
cento sfumature di giallo
FRESCO DI LETTURA
Arnaldur Indriðason, “Il commesso viaggiatore”
Ed. Guanda, trad. A. Storti, pagg. 336, Euro 15,30
“Il commesso viaggiatore” è il secondo di
una trilogia che lo scrittore islandese Arnaldur Indriðason dedica al suo paese negli anni della seconda guerra
mondiale, quando l’Islanda- base di grande importanza strategica- fu occupata
dalle truppe inglesi e americane. Furono anni di cambiamenti- gli islandesi,
che avevano vissuto isolati (sembra un gioco di parole, gli abitanti di
un’isola che vivono isolati) fino ad allora, furono sommersi da nuovi stili di
vita, da un’abbondanza di prodotti di consumo mai visti, da nuove mode. Accadde
in Islanda quello che avviene sempre quando ci sono delle truppe di occupazione
in un paese- uomini lontani da casa in cerca di donne, donne del posto che si
concedono, per il fascino di una divisa straniera, per soldi che servono a
sfamare la famiglia, per calze di nylon di cui non conoscevano neppure
l’esistenza, per sigarette, per il sogno recondito che- chissà- quegli uomini
finiscano per sposarle e portarle via da lì, dall’isola di rocce nere e
ghiaccio. C’era un nome per tutto questo, ‘la Situazione’. C’era un corpo
speciale di sorveglianza (mi fa pensare alle guardie della morale in Iran).
C’era un disprezzo diffuso e assoluto per le ragazze che cedevano alla
‘Situazione’, spesso le famiglie non volevano più saperne di loro.
E’ il 1941. Un uomo viene trovato ucciso con un colpo di pistola in
testa in quella che si pensa sia casa sua, finché la donna che gli affitta
l’appartamento non lo riconosce come il suo inquilino. Il proiettile rivela che
la pistola usata è americana e c’è una svastica disegnata col sangue sulla
fronte dell’uomo assassinato. Chi è quest’uomo? E dove è finito Felix Lunden,
il commesso viaggiatore che abitava veramente in quella casa?
Flòvent, un agente della polizia islandese, e Thorson, un giovane
canadese di origini islandesi e perfettamente bilingue, conducono le indagini
in questo romanzo in cui il filone ‘giallo’- come in molti altri libri di
Arnaldur Indriðason-
non ha la rilevanza di altri temi che vengono alla superficie. Chi ha già letto
romanzi di Indriðason
coglierà presto la differenza tra chi viene chiamato con un patronimico e chi
invece con un cognome: Felix Lunden è uno di questi ultimi, la sua famiglia è
tedesca e ha sempre nutrito simpatie per i nazisti. I quali, peraltro,
svolgevano delle ricerche ‘razziali e genetiche’ sugli islandesi, pensando che
fossero l’archetipo più puro della razza ariana. Non solo. Facevano anche
ricerche sull’ereditarietà genetica della tendenza a delinquere. E vengono
fuori storie tristissime di disagi famigliari, emarginazione e discriminazione,
un caso dimenticato della morte di un ragazzo. In tutto questo Thorson si trova
in una posizione delicata in cui la sua lealtà è divisa tra il nuovo paese in
cui la sua famiglia è approdata costruendosi una nuova vita e il paese dei suoi
avi dove lui avverte che, in qualche maniera, le sue radici affondano ancora.
E
soffre, Thorson. Soffre perché sa perfettamente quanto poco e quanto male
vengano considerati gli islandesi dagli americani che vorrebbero sottrarre il
caso alla polizia locale giudicandola incapace (solo per quello, veramente?), soffre perché avverte una discriminazione simile
a quella operata dai nazisti nemici, soffre quando vede cambiare atteggiamento nell’interlocutore che aveva pensato
lui fosse islandese sentendolo esprimersi così bene nella lingua locale- il
colore di una divisa vale di più dell’uomo che la riveste?
Ancora una volta (anche se il protagonista non è il nostro amato
Erlendur, l’uomo ossessionato dalle persone scomparse) Arnaldur Indriðason non ci delude. Un altro ‘giallo’
bello e intelligente per l’estate.
per contattarmi: picconem@yahoo.com
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