il libro ritrovato
Faïza Guène, “Kif kif domani”
Si sente la voce della giovanissima scrittrice
franco-algerina, Faïza Guène, in quella di Doria, la protagonista di “Kif Kif
domani”, anche se non è la sua storia
che Faïza racconta, anzi, non è neppure una storia, ma frammenti di vita,
sensazioni, pensieri, sentimenti di una quindicenne figlia di marocchini che
abita nella periferia parigina. Il padre di Doria se n’è andato per risposarsi
con una donna più giovane (una spina nel cuore di Doria, il pensiero che lui
possa avere il figlio maschio che avrebbe voluto al suo posto), la mamma fa la
cameriera, lei, Doria, a scuola ha una nota positiva solo in arti plastiche,
un’assistente sociale va regolarmente a trovarle, una psicologa riceve Doria
ogni lunedì. Eppure Doria non si lascia abbattere, non si cura delle risatine e
delle battute sui suoi abiti di seconda o terza mano, si guarda intorno curiosa
e disponibile, alle chiacchiere con il bel Hamoudi che poi sposerà Lila, al primo
bacio con Nabil, alla vita del quartiere. E la banlieue parigina non è più così
squallida nella visione di Doria, c’è un futuro che si apre, perché la mamma
impara a leggere e scrivere e trova un altro lavoro, Doria frequenta una scuola
per parrucchiere- Parigi, così vicina e così lontana, diventa una meta
raggiungibile e Doria vede per la prima volta la Torre Eiffel. Forse è il
Marocco che si allontana definitivamente. Stilos ha intervistato la ventenne
Faïza Guène, figlia di immigrati algerini a Parigi.
Incominciamo dal titolo: che cosa significa? E c’è un gioco di parole
in “kif kif”?
Nell’originale il
titolo è scritto in maniera leggermente diversa, kiffe kiffe, con due f e
una e finale, ed è un verbo che
nell’argot francese vuol dire “amare”; in arabo kif kif vuol dire “routine”, fare sempre la stesa cosa, ma ha una
valenza positiva, significa che domani andrà tutto bene. Il personaggio del
libro si divide tra la routine e il fatalismo in cui si trova all’inizio e
l’apertura finale verso l’amore.
Che cosa c’è di lei nel personaggio di Doria?
Con Doria condivido la
capacità di osservare la gente e le cose, la maniera di guardare il mondo che è
intorno a lei, la sua facoltà di divagare, il modo in cui passa velocemente da
una cosa all’altra, dal raccontare una storia e poi gliene viene in mente
un’altra e dice quella.
Quando è arrivata in Francia la sua famiglia? I suoi genitori hanno
trovato difficile adattarsi?
Mio padre è arrivato in
Francia nel 1953 e ha trovato lavoro nell’edilizia, ma per lui è stato facile
ambientarsi, perché è stato preso sotto “protezione” dalla comunità algerina, e
poi quando si ha un lavoro è più facile integrarsi. La mia mamma, invece, è
arrivata nel 1980 e il suo inserimento è stato più complicato, perché stava in
casa e non vedeva nessuno. Poi, quando è iniziata la scuola per noi, le cose
sono migliorate, ha iniziato a uscire. I miei genitori sapevano già il
francese, lo avevano studiato in Algeria. La mia mamma faceva da interprete, a
scuola, per le altre mamme che parlavano solo arabo.
E lei, che cosa prova verso la Francia e verso l’Algeria?
Mi sento molto divisa e
provo dei sentimenti diversi. Mi sento soprattutto francese, appartengo alla
società francese, ho frequentato la scuola francese, ho appreso i valori
francesi, libertà, uguaglianza, fraternità. Ma non si riescono a negare le
origini diverse e l’altra cultura a cui pure si appartiene. Tutti i nostri
parenti, le famiglie dei miei genitori, sono ancora in Algeria e noi andiamo là
regolarmente anche se non ogni anno.
La sua famiglia è religiosa osservante? Che cosa ne pensa della
dibattuta questione del velo?
Sì, la mia famiglia è praticante, ma in
casa mia si respira un’aria molto libera, abbiamo ricevuto un’educazione aperta.
Nessuno mi ha mai obbligato a portare il velo, mia madre non indossa il velo.
In Francia succede sempre così: ogni tanto c’è un argomento che diventa il
centro di dibattiti e si amplifica a dismisura, alterandone l’importanza. E’
così per il velo: finisce che molte ragazze lo portano per provocazione più che
per convinzione. Non è una questione importante per la religione.
Ha avvertito una discriminazione a scuola nei suoi confronti?
Finché si frequenta la scuola superiore, non
si avverte nessuna discriminazione, semplicemente perché si vive nel quartiere
e nel quartiere siamo tutti algerini o magrebini e la scuola è la scuola di
quartiere. I problemi iniziano nel mondo del lavoro e i ragazzi incontrano più
difficoltà delle ragazze, forse perché si ha un’immagine stereotipata della
ragazza come remissiva, mentre si teme che i ragazzi possano essere violenti.
E’ vero che ci sono dei ragazzi violenti nella banlieue parigina, dei ragazzi
riversano nella violenza le loro frustrazioni per la vita chiusa del quartiere.
Ma sono anche vittime della loro immagine.
Come è riuscita a farsi pubblicare un romanzo, a soli diciannove anni?
Per caso. Ho sempre
scritto e a tredici anni sono entrata a far parte di un’associazione culturale
sorta nel mio quartiere per produrre degli audiovisivi. Scrivevo copioni per
video. Un giorno, quando avevo scritto una trentina di pagine di quello che poi
è diventato il romanzo, il presidente dell’associazione le ha lette e se le è
portate via. Due settimane dopo ho ricevuto una telefonata dalla casa editrice
Hachette che mi proponeva un contratto. Ho continuato a scrivere e ho finito il
romanzo in quattro mesi.
Oltre a scrivere, lei ha anche girato un mediometraggio, “Rien que des
mots”: come le è venuta l’idea? E come riesce a trovare il tempo per la scuola,
per scrivere, girare film, vivere la sua vita di ragazza giovane?
Il filmino che ho
girato è il segno della continuità del lavoro per l’associazione di cui
parlavo. Avevo già fatto dei video e scritto delle sceneggiature. Poi, con una
sovvenzione, ho avuto la possibilità di fare questo film più lungo: volevo
parlare delle contraddizioni tra la vita moderna di una ragazza in Francia e
quella tradizionale in famiglia . Non ho calcato la mano sulle tradizioni più
dure, volevo evitare gli stereotipi di un padre violento e insisto invece sui
problemi di comunicazione: la protagonista fa fatica a trovare un dialogo con i
genitori per motivi di età, di lingua, di cultura. Quanto al trovare il tempo
per tutto…non lo trovo. In questo momento non ho il tempo per fare niente. Mi
sono iscritta alla facoltà di sociologia, ma non ho avuto il tempo di
frequentare neppure una lezione.
Il libro le ha procurato una fama immediata: che cosa prova davanti a
questa popolarità?
Non mi rendo ancora
conto di quello che mi succede ed è meglio così, perché sono serena. Mi piace
avere incontrato tanta gente, è toccante avere manifestazioni di ammirazione e
sono contenta soprattutto di avere la possibilità di esprimermi, di far sentire
quello che penso.
recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos.
A breve troverete la recensione di "Un uomo non piange mai" pubblicato dalla casa editrice Il Sirente
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