Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
painting fiction
FRESCO DI LETTURA
Dawn Tripp, “Georgia”
Ed. Neri Pozza, trad. Ada
Arduini, pagg. 324, Euro 18,00
Ci sono dei volti che parlano da soli, che forse non sono propriamente
belli ma che tengono il nostro sguardo inchiodato alla ricerca di un
significato, di una soluzione dell’enigma di uno sguardo, di un sorriso, della
linea di un naso. Volti che si fanno ricordare perché intuiamo la forte
personalità che vi si nasconde dietro. La pittrice americana Georgia O’Keeffe
(1887-1986) aveva uno di questi visi dal fascino insolito anche nella
vecchiaia. Alfred Stieglitz, il famoso fotografo che diventò suo marito dopo
aver divorziato dalla prima moglie, le dedicò centinaia di scatti. Che non
riprendevano solo il suo viso. Le sue mani, il suo corpo. Senza veli, senza
pudori perché l’arte non ne ha. Ed è impossibile parlare di Georgia pittrice
senza parlare dell’uomo che fu, in un certo senso, il suo pigmalione (Stieglitz
aveva l’occhio per scoprire gli artisti e, con generosità e dedizione, si
batteva per farli conoscere), il grande amore che durò tutta la vita.
Nonostante i contrasti, i tradimenti di lui, la necessità di lei di
allontanarsi cercando nuovi paesaggi e nuove ispirazioni in piena libertà.
Il
volto di Georgia lo rivela: Georgia sapeva quello che voleva, l’amore per
Stieglitz era pace e burrasca, era la fusione o lo scontro di due personalità
altrettanto forti, Georgia avrebbe sempre dipinto con i suoi propri occhi per
mettere su tela quello che lei
vedeva. Non le importava di incontrare il gusto del pubblico. Lei dipingeva
così, prendere o lasciare. E i quadri venivano venduti, anche se lei si
infuriava per le interpretazioni femministe dei suoi grandi fiori che parlavano
di sessualità prorompente da quei petali e da quei pistilli giganteschi che
potevano far pensare ad altro.
Dawn Tripp ci racconta la vita e l’arte, le
amicizie e gli amori di Georgia O’Keeffe e, come avviene nei migliori romanzi
della ‘painting fiction’, la scrittrice riesce con le parole a dipingere per
noi una serie di quadri in cui vediamo la pittrice dipingere i suoi, di quadri.
I fiori, le candide calle e il rosso fiammeggiante dei papaveri, il blu
violetto delle petunie e l’oro delle foglie d’autunno. E poi, dopo la scoperta
del Messico, dopo che Georgia aveva dovuto
mettere chilometri tra lei e Alfred, le gigantesche ossa dei crani di vacca
trovati nel deserto ad incorniciare il cielo azzurro, come in un oblò. E la
linea delle montagne. E i grattacieli (Stieglitz le aveva sconsigliato di
dipingere scene cittadine, lei non gli aveva dato retta). Entriamo dentro i
suoi quadri come fossimo Alice che entra nello specchio e vi incontriamo i
sentimenti e l’anima di una grande donna. Dawn Tripp riesce a non separare
Georgia O’Keeffe artista da Georgia O’Keeffe donna, è sempre la stessa, Georgia
che colora il mondo sulla tela e Georgia che ama, che gode, che soffre perché
Stieglitz le nega il figlio che lei desidera. E noi sentiamo che la Georgia che
vive deve esprimersi così, per essere
lei, per raggiungere la pienezza.
Quando terminiamo la lettura di questo
romanzo-biografia, abbiamo voglia di vedere, di emozionarci davanti ai quadri
di Georgia O’Keeffe. Ci accorgiamo con rimpianto che ci è sfuggita una qualche
sua mostra che avremmo potuto visitare, ci affrettiamo a cercare in internet le
immagini dei suoi quadri- bellissimi, chissà quanto più belli visti dal vero,
chissà la meraviglia del murale così controverso di cui ci parla Dawn Tripp. Un
libro che ha questo effetto sul lettore è un bel libro.
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