Voci da mondi diversi. Penisola iberica
la Storia nel romanzo
il libro ritrovato
Jaume Cabré, “Io confesso”
Ed-
Rizzoli, trad. Stefania Maria Ciminelli, pagg. 769, Euro 19,50
Titolo
originale: Jo confesso
“...questo violino non è mio, sono io a
essere suo. Sono uno dei tanti che l’ha avuto. Nel corso della sua vita questo
storioni ha avuto diversi musicisti al suo servizio. E oggi è mio, ma io lo
posso solo contemplare. Per questo volevo che imparassi a suonare il violino e
continuassi la lunga catena della vita di questo strumento. Solo per questo
devi studiare il violino. Solo per questo, Adrià. Non c’è bisogno che ti
piaccia la musica.”
Nascere
in quella famiglia era stato un errore imperdonabile: è questa la
riflessione d’esordio del libro autobiografico che Adrià Ardèvol sta scrivendo.
Un libro doppio, in realtà, come apprenderemo in seguito, quando lo affida al
suo migliore amico, Bernat, perché si occupi della revisione e di farlo
stampare: con inchiostri di colore diverso Adrià ha scritto la storia della sua
vita su un lato dei fogli, dall’altro la storia del Male. Le due storie si
intrecciano inestricabilmente nella versione che noi leggiamo, intitolata “Io
confesso”: molto, molto spesso io
confesso appare nella universale versione latina confiteor, a rendere senza tempo l’ammissione del peccato, a darle
una connotazione etica. Perché le domande che pervadono l’intero libro sono
proprio queste: quale è il peso della colpa? Si eredita la colpa? E quale è
l’origine del Male? E’ possibile riparare il Male? E’ sufficiente espiare il
Male per pareggiarne il peso? Sono domande che filosofi e teologi si pongono da sempre, dalla
creazione del mondo e dalla ribellione di Lucifero.
La famiglia di Adrià Ardèvol era fortunata
e felice, perché gli Ardèvol erano ricchi. Come, poi, Félix Ardèvol avesse
fatto i soldi, non era del tutto chiaro- prova ne era la sua morte violenta,
circondata da un alone di mistero. Félix Ardèvol aveva un negozio di oggetti
d’antiquariato, o da rigattiere, se si vuole tenere maggiormente in
considerazione la maniera in cui era entrato in possesso degli oggetti
acquistati per pochi soldi in situazioni disperate e rivenduti a cifre da
capogiro. Tra questi un violino. Anzi, il
violino, uno Storioni del 1764. Il violino chiuso in cassaforte che ha anche un
nome, Vial. Quando il corpo di Félix Ardèvol viene ritrovato, c’è l’astuccio
del violino vicino a lui. Che tuttavia contiene lo strumento comune su cui
studia Adrià e non il Vial. Nessuno sa spiegarsi il perché; Adrià si guarda
bene dal parlare ma resterà convinto per sempre di aver causato lui stesso la
morte del padre.
Ad Adrià mancava l’amore dei genitori
nella sua famiglia felice: la madre era fredda,
il padre si limitava a dargli degli
ordini, a dirgli che cosa si aspettava da lui- grandi cose. Che diventasse un
linguista (Adrià finirà con il conoscere dodici lingue), un erudito. Adrià deve
eccellere in tutto per soddisfare le ambizioni del padre. Sua madre vuole farne
un violinista, invece. Adrià è così solo che parla con due amici che non sono
le tipiche creature inventate nelle infanzie infelici- sono due soldatini, il
pellerossa coraggioso Aquila Nera e lo sceriffo Carson: saranno al suo fianco
per tutta la vita, insieme a Bernat, il ragazzo che incontra alle lezioni di musica.
Adrià, Bernat, Sara (la donna di cui Adrià
si innamora quando sono ancora quasi bambini e che amerà per sempre), una
miriade di altri personaggi vivono in questo romanzo di cui, però, il centro
focale è il violino di Cremona che diventa un simbolo, di come la bellezza
possa coniugarsi con il male e di come il male non abbia confini, nè di spazio
né di tempo. E così la storia del violino, che diventa poi integrante di quella
di Adrià e di Sara, incomincia con degli alberi, con un artigiano che sapeva
riconoscere il canto del legno, con un delitto a cui ne seguiranno altri.
Prosegue in paesi diversi, mentre lo storioni passa di mano in mano, sarà
confiscato ad Auschwitz. Ma non è così semplice- proprio perchè il Male è nella
natura umana, il medico nazista, o il gesuita dell’Inquisizione, o il musulmano
che ha diretto la lapidazione di una donna, o il frate che espiava le sue colpe
nascosto in un convento, si scambiano nomi e parti, tra di loro e con Félix
Ardèvol, l’ultimo di una catena. No, non l’ultimo- come vedremo quando Adrià
cerca di rimediare e di restituire lo strumento. Perchè proprio non c’è fine al
Male.
Se Pietro è stato capace di tradire Gesù, anche quello che si considera
il migliore amico può tradirci. Come fa Bernat, come fa il vecchio che riesce
ad imitare la voce e il comportamento di un altro vecchio la cui famiglia è
stata annientata ad Auschwitz. Bernat che si appropria di una storia non sua e
della gloria riservata ad Adrià quando questi ormai non sa più riconoscerlo.
Tantomeno sapere il suo proprio nome. E questo finale è doloroso e straziante, quando
il Male assume una dimensione personale, di una punizione solo in apparenza
indolore.
“Io confesso” è un libro bellissimo,
come i precedenti romanzi di Cabré, “Le voci del fiume” e “L’ombra dell’eunuco”.
E’ un romanzo colto che percorre l’intera storia d’Europa, ricco di rimandi
(osserviamo l’allusione alle “Memorie di Adriano” della Yourcenar e al “J’accuse” di Zola), teso tra i due
estremi possibili per l’essere umano- la bellezza e la conoscenza da una parte e
l’abiezione, l’inganno, il Male assoluto dall’altra.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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