domenica 4 dicembre 2016

Alberto Ongaro, “Il respiro della laguna” ed. 2016

                                                                   Casa Nostra. Qui Italia
     cento sfumature di giallo
     FRESCO DI LETTURA

Alberto Ongaro, “Il respiro della laguna”
Ed. Piemme, pagg. 125, Euro 14,88


    Chi abita a Venezia lo sa bene. Non sono solo dicerie, ha ragione il vecchio con il cappello di paglia che, all’inizio de “Il respiro della laguna”, dice che lo spirito della laguna sa quando un crimine sta per essere commesso nella città che sorge dalle acque. Venezia è speciale. Perché mettere in dubbio che cambi il barbaglio del sole sull’azzurro, che varii impercettibilmente l’increspatura dell’acqua, che ci sia come un fremito che percorre l’aria e che chi vuole può interpretare?
   Quella notte una figura scura si annidava sui rami dell’albero nel giardino di casa Viviani, in fondamenta san Trovaso. Aveva calcolato giusto- le finestre erano aperte, con un balzo poteva entrare in casa. Il suo era un lavoro- e ben pagato, anche. Non doveva rubare niente altro che un bambino.
Poi era andato tutto storto. Il rumore di un sonaglio che aveva calpestato, il padre del bambino che si era alzato. Aveva una pistola in mano. Lazzaro aveva sparato e si era portato via il bambino. Quella morte violenta non era prevista, bisognava fare in modo che le consegne fossero fatte prima che i suoi committenti la scoprissero e filarsela via con i soldi. Se solo il mal di denti gli avesse dato un poco di tregua.

    Se aggiungiamo (è tutto nelle prime pagine) che il bambino verrà consegnato in una casa ricca, a persone che non ci piacciono affatto, e che il poliziotto dell’Anticrimine che si occuperà delle indagini è Damiano Zaguri, appartenente ad una nobile famiglia con un antenato che, nel ‘600, come Signore di Notte, aveva un compito analogo a quello del suo discendente oggi, abbiamo davanti a noi tutte le tessere del puzzle di questo raffinato ‘giallo’ di Alberto Ongaro.
   “Il respiro della laguna” ha un fascino un po’ vintage, dei libri di una volta, niente cellulari (sono gli anni ‘70), nessun accenno ai metodi della serie televisiva CSI, e poi niente automobili o moto, naturalmente- siamo in laguna, ci si sposta con una lancia o con un ‘topo’, come viene chiamata una comune imbarcazione da trasporto veneziana. Restiamo in ansia per la sorte del piccolo Francesco Viviani, ma non proviamo brividi di paura o di tensione, leggendo il romanzo di Ongaro. Indugiamo, piuttosto, ad assaporare i dettagli- il personaggio del fascinoso e scapolo Damiano Zaguri (forse alla fine incontra la donna della sua vita) che è solito parlare con il quadro del suo antenato perché sente un legame speciale con lui e che, nel caso del piccolo Viviani, vede la possibilità di rimediare all’unico fallimento della carriera di colui che lo ha preceduto, quello dell’indovina a cui Damiano si rivolge che è un po’ più che una comune ciarlatana perché conoscere tante persone e sapere tante cose è parte del suo mestiere, un talismano che porterà alla soluzione del caso, il sottolineare più volte, e da più parti, di come il vero Male si celi dietro apparenze insospettabili.

E’ come se ci fosse la Storia di Venezia che occhieggia da sopra la spalla di Damiano Zaguri, un legame continuo con il passato (che è sempre presente) che si nasconde dietro il quadro dell’antenato, e, nell’accusa ripetuta del marcio che viene alla luce in coloro che appartengono alle classi sociali che dovrebbero essere esemplari, è come se fosse implicita l’allusione allo splendore apparente di Venezia mentre l’acqua ne rode le fondamenta.
    Non ha una trama originale, “Il respiro della laguna”, ma è una lettura piacevole, con un’atmosfera insolita e una scrittura da maestro.



   

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