mercoledì 1 giugno 2016

Melanie Benjamin, “I cigni della Quinta Strada” ed. 2016

                               Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
        FRESCO DI LETTURA    


Melanie Benjamin, “I cigni della Quinta Strada”
Ed. Neri Pozza, trad. F. Oddera, pagg. 369, Euro 18,00

  Erano i giorni migliori, erano i giorni peggiori, era un’epoca di saggezza, era un’epoca di follia...è l’incipit famoso di “Storia di due città” di Charles Dickens. Sono parole adeguate per l’epoca in cui è ambientato il romanzo di Melanie Benjamin, la fine degli anni ‘50 del ‘900, quando il ricordo della guerra iniziava a sbiadire e i protagonisti de “I cigni della Quinta Strada” erano ancora giovani, belli e ricchi e conducevano una vita di spensieratezza, tra ricevimenti e vacanze in yacht, spostandosi da una fastosa dimora all’altra- ci viene in mente il romanzo “Belli e dannati” di Scott Fitzgerald, lo scrittore che pensava che avere più di trent’anni significa essere vecchi, che aveva detto a Hemingway, ‘i molto ricchi sono diversi da me e te’, al che Hemingway aveva risposto, ‘sì, hanno molti più soldi’.
     Era stato Truman Capote a chiamarle ‘i miei cigni’. Perché, con i loro corpi sottili, l’incedere altero ed etereo, l’eleganza squisita degli abiti, facevano pensare a splendidi cigni che scivolano sull’acqua- Marella Agnelli, Gloria Vanderbilt, Gloria Guinness, Slim Keith e Babe Paley. Soprattutto Babe Paley, l’icona dello stile, impeccabile, mai un capello fuori posto, mai un vestito sbagliato, il trucco sempre perfetto.
Babe Paley
Neppure il marito l’aveva mai vista struccata. Babe e le sue sorelle avevano imparato dalla madre ‘il mestiere’ di moglie, erano state educate con l’obiettivo di fare un buon matrimonio, cioè di sposare un uomo ricco. L’amore? Che cosa è l’amore senza i soldi? Babe aveva divorziato dal primo marito, sposando in seconde nozze il ricchissimo Bill Paley, fondatore della CBS, che la tradiva. Che importava se le apparenze erano salve? Il denaro vale qualche sacrificio- era al suo fianco per prevenire ogni suo desiderio, per appianare le piccole contrarietà.
     Truman Capote, piccolo, grassoccio, tendente alla calvizie, omosessuale e volgarotto, aveva affascinato i cigni. Babe ne era innamorata, l’unico amore extra coniugale che poteva tranquillamente permettersi. I cigni giocavano con il suo nome- Vero Amore, Vero Cuore, True Man. Lui adorava i pettegolezzi, loro non sapevano ancora come avrebbe sfruttato nei suoi romanzi quello che gli raccontavano. Cresciuto senza l’affetto materno, Capote spasimava per avere approvazione e amore- forse era questo che aveva in comune con Babe, una donna molto sola in un castello di ghiaccio.
Truman Capote
     Melanie Benjamin, con lo stesso stile squisito, la stessa capacità di introspezione sotto un velo di leggerezza che abbiamo apprezzato ne “La moglie dell’aviatore”, ci racconta un ventennio di amicizia culminante nella grande delusione di un tradimento. Ci racconta della vita superficiale dei Cigni (pare proprio che queste donne sfiorino soltanto la vita, senza lasciare traccia, proprio come dei cigni), di chiacchiere ed incontri, di scelte di abiti, di totale mancanza di preoccupazioni. Hanno dei figli, queste donne, ma non li vedono quasi mai, non c’è spazio per loro nei ritrovi mondani, il denaro compra governanti e scuole private. Tutte esultano quando Truman Capote raggiunge il successo con “A sangue freddo”, il romanzo-indagine sulla strage di una famiglia in Kansas. Tutte vanno al suo party ‘bianco e nero’, al Plaza. Per Capote è l’apice della gloria e l’inizio del decadimento, fisico e morale, se mai Capote ha avuto una morale.
Giovanni e Marella Agnelli al ballo di Capote
Passano gli anni, improduttivi per Capote, di inevitabile invecchiamento per i ‘Cigni’, di malattia per Babe, e poi Truman Vero Cuore, Vero Amore, pubblica “La Côte Basque 1965”, il libro scandalo in cui non sa fare di meglio che sbandierare fatti privati delle donne che gli sono state amiche e si sono fidate di lui. Ignobile. Nessuna gli rivolgerà più la parola. C’è chi ne muore.

     Melanie Benjamin cattura l’atmosfera di quegli anni, dell’eleganza ‘divina’ del secondo dopoguerra intaccata dalle nuove mode sbarazzine provenienti dall’Inghilterra dei Beatles e di Mary Quant, ci comunica la tristezza dell’invecchiamento e del decadimento fisico quando si è incapaci di accettare l’inesorabile legge di natura, la fuggevolezza del Tempo che si polverizza, proprio come i corpi umani, per gloriosi che siano.




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