vento del Nord
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Maj Sjöwall e Per
Wahlöö, “L’uomo che andò in fumo”
Ed. Sellerio, trad. Renato Zatti, pagg. 263, Euro 13,00
Vorrei iniziare
questa recensione in maniera diversa, ma mi riesce impossibile non dire, come
al solito dopo aver terminato un libro di Maj Sjöwall e Per Wahlöö- la coppia
di maestri del romanzo di indagine poliziesca svedese- che la lettura di un
loro ‘giallo’ è un piacere raffinato, uno di quei piaceri che si pregustano in
anticipo, una sorta di consolazione che si tiene da parte per i momenti bui.
E, dopo aver detto questo,
addentriamoci tra le pagine del libro e cerchiamo di spiegarci il perché del
nostro godimento. Il personaggio principale è Martin Beck, commissario della
polizia di Stoccolma, quello che diremmo un uomo molto normale, molto
qualunque, con delle doti spiccate di analisi e di percezione. Uno che macina
lento, che riflette, che mette insieme le tessere di un puzzle con calma e
pazienza, provando e riprovando. Che raccoglie gli indizi e li salva in file
della sua memoria, per ripescarli quando servono. Accanto a lui ci sono
Kollberg, amico oltre che collega, e Melander, che ha una memoria eccezionale e
viene preso in giro perché è spesso in gabinetto. Sono tutti un poco più
giovani rispetto ad altri romanzi della serie che abbiamo già letto perché
pubblicati in sequenza diversa da quella originale: Martin è ancora sposato,
Kollberg è ancora senza figli.
Martin Beck sullo schermo |
All’inizio del
romanzo Martin si prepara per raggiungere la famiglia in vacanza su un’isoletta.
Riesce a mala pena a fare un giorno di ferie e viene richiamato in servizio: un
giornalista, Alf Matsson, è scomparso a Budapest, dove si era recato per un
servizio. Un tipo non simpatico, questo Matsson. Separato dalla moglie, ha un
figlio, è un ubriacone e, quando ha bevuto, diventa veramente sgradevole,
nonché violento. Dopo aver interrogato i colleghi di lavoro e di bevute, Martin
parte per l’Ungheria. E lasciamo al lettore scoprire che cosa accada in
Ungheria, ricordando che il romanzo è stato pubblicato nel 1966, quando era
ancora necessario il visto d’entrata, i controlli alle dogane erano ferrei e
anche per le strade di Budapest gli stranieri sembravano essere sorvegliati di
continuo.
Ma
l’ambientazione ungherese è una novità ben riuscita ne “L’uomo che andò in
fumo”. Il commissario Martin è particolarmente simpatico nelle vesti di turista
e possiamo contare sul suo sguardo attento per vedere Budapest con i suoi
occhi- la vecchia città di Buda, l’isola Margherita, il fascino del Danubio che
scorre lento sotto il ponte di Elisabetta, perfino quello dell’albergo
vecchiotto con i portieri così ossequienti, le terme famose per le acque
sulfuree. E’ come se Martin si sdoppiasse: c’è un Martin perfetto estraneo che
si sente escluso in un paese dalla lingua incomprensibile (ed è il Martin che
sta per lasciarsi sedurre dall’ambigua Ari), e c’è un Martin che non perde mai
il controllo di se stesso e che non si lascia sfuggire nulla (ed è quello che
ha i riflessi così pronti da evitare una coltellata). In più, Martin si fa un
amico a Budapest, il poliziotto Vilmos Szluka: un suo doppio? Oppure
semplicemente uno spirito affine come quello dell’altro poliziotto, conosciuto
anni prima quando era stato ritrovato un cadavere nel Canale Göta e a cui ora
Martin manda una cartolina.
“L’uomo che andò
in fumo” è il settimo romanzo pubblicato di Maj Sjöwall e Per Wahlöö- inizia il
conto alla rovescia, ne mancano tre. Solo tre. Peccato.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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