lunedì 25 aprile 2016

Maj Sjöwall e Per Wahlöö, “L’uomo che andò in fumo” ed. 2009

                                                                      vento del Nord
          cento sfumature di giallo
          il libro ritrovato

Maj Sjöwall e Per Wahlöö, “L’uomo che andò in fumo”
Ed. Sellerio, trad. Renato Zatti, pagg. 263, Euro 13,00



   Vorrei iniziare questa recensione in maniera diversa, ma mi riesce impossibile non dire, come al solito dopo aver terminato un libro di Maj Sjöwall e Per Wahlöö- la coppia di maestri del romanzo di indagine poliziesca svedese- che la lettura di un loro ‘giallo’ è un piacere raffinato, uno di quei piaceri che si pregustano in anticipo, una sorta di consolazione che si tiene da parte per i momenti bui.
      E, dopo aver detto questo, addentriamoci tra le pagine del libro e cerchiamo di spiegarci il perché del nostro godimento. Il personaggio principale è Martin Beck, commissario della polizia di Stoccolma, quello che diremmo un uomo molto normale, molto qualunque, con delle doti spiccate di analisi e di percezione. Uno che macina lento, che riflette, che mette insieme le tessere di un puzzle con calma e pazienza, provando e riprovando. Che raccoglie gli indizi e li salva in file della sua memoria, per ripescarli quando servono. Accanto a lui ci sono Kollberg, amico oltre che collega, e Melander, che ha una memoria eccezionale e viene preso in giro perché è spesso in gabinetto. Sono tutti un poco più giovani rispetto ad altri romanzi della serie che abbiamo già letto perché pubblicati in sequenza diversa da quella originale: Martin è ancora sposato, Kollberg è ancora senza figli.
Martin Beck sullo schermo
   All’inizio del romanzo Martin si prepara per raggiungere la famiglia in vacanza su un’isoletta. Riesce a mala pena a fare un giorno di ferie e viene richiamato in servizio: un giornalista, Alf Matsson, è scomparso a Budapest, dove si era recato per un servizio. Un tipo non simpatico, questo Matsson. Separato dalla moglie, ha un figlio, è un ubriacone e, quando ha bevuto, diventa veramente sgradevole, nonché violento. Dopo aver interrogato i colleghi di lavoro e di bevute, Martin parte per l’Ungheria. E lasciamo al lettore scoprire che cosa accada in Ungheria, ricordando che il romanzo è stato pubblicato nel 1966, quando era ancora necessario il visto d’entrata, i controlli alle dogane erano ferrei e anche per le strade di Budapest gli stranieri sembravano essere sorvegliati di continuo.

     Ma l’ambientazione ungherese è una novità ben riuscita ne “L’uomo che andò in fumo”. Il commissario Martin è particolarmente simpatico nelle vesti di turista e possiamo contare sul suo sguardo attento per vedere Budapest con i suoi occhi- la vecchia città di Buda, l’isola Margherita, il fascino del Danubio che scorre lento sotto il ponte di Elisabetta, perfino quello dell’albergo vecchiotto con i portieri così ossequienti, le terme famose per le acque sulfuree. E’ come se Martin si sdoppiasse: c’è un Martin perfetto estraneo che si sente escluso in un paese dalla lingua incomprensibile (ed è il Martin che sta per lasciarsi sedurre dall’ambigua Ari), e c’è un Martin che non perde mai il controllo di se stesso e che non si lascia sfuggire nulla (ed è quello che ha i riflessi così pronti da evitare una coltellata). In più, Martin si fa un amico a Budapest, il poliziotto Vilmos Szluka: un suo doppio? Oppure semplicemente uno spirito affine come quello dell’altro poliziotto, conosciuto anni prima quando era stato ritrovato un cadavere nel Canale Göta e a cui ora Martin manda una cartolina.
    “L’uomo che andò in fumo” è il settimo romanzo pubblicato di Maj Sjöwall e Per Wahlöö- inizia il conto alla rovescia, ne mancano tre. Solo tre. Peccato.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net




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