Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
il libro ritrovato
Jonathan Coe, “Expo 58”
Ed. Feltrinelli, trad. Delfina
Vezzoli, pagg. 277, Euro 17,00
Titolo originale: Expo 58
Qui, nei prossimi sei mesi,
sarebbero state riunite tutte le nazioni i cui complessi rapporti, i cui
conflitti e alleanze, le cui dense, intricate storie avevano forgiato e
avrebbero continuato a forgiare il destino dell’umanità. E al centro di tutto
ciò, c’era questa fulgida pazzia: un gigantesco reticolo di sfere, interconnesse,
imperiture, ciascuna emblematica di quella minuscola unità che l’uomo aveva
imparato a dividere solo recentemente, con conseguenze a un tempo allarmanti e
meravigliose: l’atomo. La sola vista gli faceva battere forte il cuore.
Non possiamo sottrarci alla gigantesca
struttura dell’Atomium che incombe sul paesaggio del nuovo romanzo di Jonathan
Coe, “Expo 58”. Perché è lì, alto 102 metri, con le sue nove sfere
scintillanti, ognuna di diciotto metri di diametro, a rappresentare la più
meravigliosa e nello stesso tempo più terrificante recente scoperta umana,
scelto per essere il simbolo dell’Esposizione Universale e Internazionale di
Bruxelles del 1958. Un’opera stupefacente e intimidente disegnata
dall’ingegnere André Waterkeyn e nello stesso tempo un monito a non dimenticare
quale uso distruttivo ne è stato fatto. La guerra è finita da tredici anni- si
può ricominciare a vivere, ad avere fiducia negli altri, a credere che non ci
sarà mai più una Hiroshima, a sperare nell’amicizia dei popoli? L’intento
utopistico e ottimistico dell’Expo 58 è proprio quello, di riavvicinare i
paesi, di conoscere e far conoscere culture diverse, di superare pregiudizi e
rancori, di controbattere la Guerra Fredda. Eppure…
Thomas Foley è un uomo qualunque, lavora come
copywriter al Central Office of Information di Londra. Trentadue anni, sposato
con Sylvia, una bimba piccola, Gill (osserviamo, per inciso, che Jonathan Coe
riprende- da una diversa prospettiva- i personaggi di un precedente romanzo,
“La pioggia prima che cada”). Con l’alquanto labile pretesto che sua madre è
belga, emigrata da bambina in Gran Bretagna, e che suo padre aveva gestito una
taverna, Thomas viene scelto come ‘sorvegliante’ del pub Britannia che verrà
eretto sul luogo dell’Expo per creare un’atmosfera prettamente inglese con una
copia di quello che è una sorta di istituzione nazionale. E così Thomas si
trasferisce per sei mesi in Belgio.
Thomas è un ingenuo, Thomas è un
Candide, Thomas ci ricorda Pyle, il personaggio di “Un americano tranquillo” di
Graham Greene (pubblicato nel 1958), Thomas non è affatto consapevole della
partita che si sta giocando a Bruxelles, è un giocatore suo malgrado che non
conosce le regole. Sembra un ragazzino che si sia allontanato da casa per la
prima volta, ebbro di libertà. Si innamora di una bella hostess belga, si
lascia riempire il bicchiere di vodka un’infinità di volte da un gioviale
russo, che sembra così innocuo e invece è un membro del KGB, per poi
risvegliarsi interamente vestito su un letto d’albergo, accetta il compito di
corteggiare un’americana per distogliere le attenzioni di questa dal russo. E
intanto scompare dal padiglione inglese un prototipo di apparecchio che aveva
suscitato un’eccessiva curiosità da parte del russo…
Gaio Belgio |
Grandi speranze e grandi delusioni in
questa Expo 58, il primo evento di questo tipo dopo la fine della guerra. C’è
qualcosa di falso e di artefatto in tutto e da parte di tutti. Nel pub
Britannia e nel Gaio Belgio, nel padiglione americano dove una donna passa
l’aspirapolvere tutto il giorno per gli occhi stupiti dei russi e nel
fac-simile della birreria bavarese, ma anche nella bella americana che dice di
essere un’attrice e che, in effetti, recita alla perfezione la sua parte fino
ad un culmine degno della migliore spy story (Thomas sta leggendo “Dalla Russia
con amore”, romanzo di Ian Fleming del 1957), nel russo che finge di essere un
giornalista, nella coppia di uomini con impermeabile e cappello floscio che
sbucano dal nulla accanto a Thomas nei momenti più impensati e che parlano
proseguendo l’uno la frase dell’altro, come due macchiette del cinema.
pub Britannia |
Il romanzo termina nel 2009, con
una carrellata di date ed avvenimenti, ragguagliandoci su che cosa ne è stato
delle persone e delle strutture dell’Expo 58. C’è una sorpresa finale per
l’ormai anziano Thomas che non è più sicuro di nulla- “Era reale, o immaginata,
o ricordata?”. E, dopo aver letto un libro così ricco di richiami nascosti, alla
letteratura, ma anche al cinema e alla musica, pensiamo al verso di Keats, “Era
una visione, o un sogno da sveglio? / Svanita è quella musica: sono sveglio o
dormo?”
Jonathan Coe è ritornato allo stile che
più lo caratterizza, ad una vena ironica che è meno selvaggia, meno caustica
che nell’indimenticabile “La famiglia Winshaw”, ma sempre straordinariamente
efficace, appuntita e graffiante, immensamente divertente con il suo umorismo
sottile, un sottotono che è- lasciatemelo dire- britannico tanto quanto
l’emblematico pub Britannia.
la recensione e l'intervista che segue sono state pubblicate su www.wuz.it
Nessun commento:
Posta un commento