lunedì 28 marzo 2016

Thomas Mann, “I Buddenbrook”

                                                        Voci da mondi diversi. Area germanica
                    premio Nobel
                    riletture

Thomas Mann, “I Buddenbrook”
Ed. Mondadori, trad. Silvia Bortoli, pagg.716, Euro 8,63


     Thomas Mann, premio Nobel 1929. Un critico lo ha definito ‘l’ultimo dei classici’. Non sono certa che lo scrittore tedesco sia veramente ‘l’ultimo dei classici’- ci sarebbe da discutere su che cosa questa definizione voglia dire. Penso, invece, che il premio che gli è stato conferito sia uno dei più meritati e, avendo appena finito di rileggere “I Buddenbrook”, mi sento colma di ammirazione, di stupore e di inadeguatezza: Thomas Mann aveva ventisei anni quando scrisse “I Buddenbrook”, un romanzo grandioso e splendido che era, allora, e resta, adesso, dopo più di un secolo, un capolavoro.
     La mia vecchia copia del libro reca il sottotitolo “Decadenza di una famiglia”. Preferisco ‘declino di una famiglia’, che ha un connotato meno negativo, dà più l’idea della ruota della vita che gira portando con sé i personaggi dalle vette agli abissi.
E il declino della famiglia di commercianti Buddenbrook è anche il declino della bellissima casa che il console Johann Buddenbrook, proprietario dell’omonima ditta, inaugura con festeggiamenti all’inizio del libro. E’ il 1835, la casa sulla Mengstrasse, con la sua armonica facciata, gli arredi e le tappezzerie, è il segno del successo. Passeranno gli anni, muore il console Johann, muore suo figlio e anni dopo ancora sua moglie. Il loro primogenito Thomas, diventato senatore, abita in un’altra grande casa e la dimora di famiglia deve essere venduta- il tempo ha lasciato i segni anche sull’edificio, sarebbe troppo costoso riparare i danni. Il peggio è che l’acquirente è l’antagonista di vecchia data dei Buddenbrook, un uomo rozzo che si insedia al loro posto. Ed è come se tutto precipitasse, definitivamente, dopo la vendita della casa sulla Mengstrasse, come se mancasse il perno, come se il cuore smettesse di battere.

    “I Buddenbrook” è un romanzo corale, ricco di personaggi di cui alcuni hanno un ruolo centrale anche se tutti, però, sono altamente caratterizzati. Thomas Mann ha un occhio attentissimo per i dettagli, sia fisici, sia dell’abbigliamento o dei comportamenti, o del linguaggio- tutti rivelatori del carattere, tutti intesi a farci ‘vedere’ la persona di cui si sta parlando. Il colorito pallido e la cura maniacale dell’abito di Thomas Buddenbrook (diventa lui il capofamiglia, il punto di riferimento, dopo la morte del padre), il labbro superiore rialzato e la passione di Tony per fiocchi e gale (povera Tony che deve rinunciare al suo amore giovanile ed è per ben due volte malmaritata), le continue lamentele di Christian sulla sua salute (lo scapestrato Christian, la pecora nera, il problema dei fratelli minori), la voracità della parente povera, gli occhi ravvicinati e i capelli di un denso rosso scuro di Gerda, la moglie di Thomas che quasi mai sentiamo parlare, solo suonare il violino, i riccioli castani, il mal di denti e le belle mani del piccolo Hanno: il tempo passa, cambia la situazione della famiglia e cambia anche la società intorno a loro, ma questi dettagli restano immutati, a farci riconoscere i personaggi che vengono travolti dagli eventi a cui non riescono ad adattarsi. Thomas Buddenbrook, l’uomo dalle grandi e brillanti ambizioni, non è capace di seguire il passo del tempo, si intristisce, gli sembra di vivere in un altro mondo, diverso da quello della moglie. E’ il divario tra questi due mondi che Thomas Mann stesso ha sperimentato (il libro è largamente autobiografico)- da una parte il commercio, i valori borghesi, la rispettabilità, il perbenismo, e dall’altra la musica di Gerda dalle ombre azzurrognole sotto gli occhi. Gli stessi occhi di Hanno che ha ereditato il temperamento artistico e sognatore della madre, deludendo le aspettative del padre.
I Buddenbrook nella versione cinematografica
     Non credo di poter dire alcunché di nuovo su un romanzo così famoso. Posso soltanto osservare la mentalità più aperta con cui lo si legge ora e che ci permette di capire più a fondo le tematiche che percorrono tutta l’opera dello scrittore- le stretture dell’ambiente sociale, la pressione delle aspettative famigliari, il contrasto tra quello che lo scrittore inglese Forster chiamava ‘il mondo dei telegrammi e dell’ira’, e cioè il mondo della praticità e del lavoro, e quello dell’arte e dello spirito (in Forster era il mondo delle sorelle Schlegel), la tendenza omosessuale che Mann represse (si sposò ed ebbe sei figli) e che sfiora questo libro nell’amicizia tra il piccolo Hanno e il contino Kai, l’uno amante della musica e l’altro della letteratura.

La mia copia è una vecchia edizione Feltrinelli del 1964, traduzione di Anita Rho, 800 Lire



     

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