Voci da mondi diversi. Africa
distopia
FRESCO DI LETTURA
Boualem Sansal,
“2084. La fine del mondo”
Ed. Neri Pozza, trad. M. Botto, pagg. 254, Euro 14,45
“2084”: il riferimento al “1984” di George Orwell è chiaro, e lo
scrittore algerino Boualem Sansal non è debitore solo del titolo, trasposto a
cento anni di distanza, nel suo romanzo destinato a suscitare scalpore. L’impianto
stesso del romanzo è simile a quello del capolavoro di Orwell. Siamo in Abistan e l’Abistan è l’unico stato
rimasto da un oscuro passato terminato con
la grande Guerra Santa, chiamata Shar. Si parla di Frontiere, ma è tutto
vago, nessuno sa niente di preciso, nessuno neppure si azzarda a pensare o a
immaginare qualcosa, niente viene mai messo in discussione. Perché c’è un solo
capo, Abi, eletto da Dio per
governare il popolo dei credenti (nessuno lo ha mai visto), l’Essere Supremo
che ha donato la supremazia al suo popolo si chiama Yölah (provate a pronunciarlo, suona come
Allah) e il suo opposto ha il nome di Shaitan, oppure Maligno, o Rinnegato, o
Balis (i suoi seguaci sono i balisiani), una congregazione di 40 dignitari
forma la Giusta Fraternità che aiuta Abi a governare e a contrastare i Makuf- i propagandisti della Grande
Miscredenza.
Orwell aveva scritto il suo romanzo nel 1948 (da qui il suo titolo),
spinto dalla delusione provata nel constatare il cammino che aveva imboccato il
Comunismo. A poco meno di un secolo di distanza nessuno parla più di comunismo
e non sono più gli ideali politici a
minacciare la democrazia ma una fede religiosa, lo constatiamo ogni giorno
e avvertiamo un certo timore che cerchiamo di tenere a bada. Il romanzo di
Sansal sostituisce la distopia politica
di Orwell con quella religiosa. Che si presenta, pure questa, come una
forma di dittatura che ha bisogno di un
suo linguaggio (la lingua del Terzo Reich documentata da Victor Klemperer è
l’esempio migliore)- l’Oceania di Orwell è sostituita dall’Abistan e Abi
sostituisce il Grande Fratello, invece dello slogan Big Brother is watching you, c’è un Bigaye che guarda e sorveglia, invece della psicopolizia ci sono
i V che leggono i pensieri e la
Leg-abi (la legione di Abi) di temibili guardiani senza cervello. La lingua è
importante, la codificazione del
linguaggio sottrae al pensiero, impoverisce la mente, rende incapace di
astrazioni.
E, invece di un Winston Smith che porta
avanti la sua solitaria protesta, nel “2084” c’è Ati che incomincia a porsi domande, a mettere in dubbio l’unica
verità, l’unica fede, l’unica versione della Storia- anche in Abistan, come in
Oceania, i fatti vengono manipolati e alterati secondo l’opportunità.
A rischio
della vita Ati riesce ad infiltrarsi nel
ghetto dei Rinnegati- come quando Winston Smith si mescola con i Proles e
scopre il negozio con oggetti una volta comuni ma scomparsi perché ‘borghesi’,
anche Ati scopre, nel magazzino della persona che gli dà rifugio, un tesoro di
cose normali ma che lui non ha mai visto, spazzate via dalla furia dell’ossessione del peccato. Nel ghetto
Ati vede donne non velate, graffiti oltraggiosi contro l’Abistan, libri scritti
in altre lingue: è veramente scomparso il mondo fuori dai confini dell’Abistan?
Qual è il motivo vero per cui si incoraggia la popolazione a muoversi in continui pellegrinaggi? Perché sono
stati eliminati i due amici di Ati? Che cosa non dovevano rivelare?
In questo romanzo distopico pieno di ombre minacciose un esile filo di
speranza viene dato dalla figura dell’uomo (Ati?) che è stato visto
fuggevolmente, mentre scendeva da un elicottero su un altopiano nelle vicinanze
di un valico. L’uomo era vestito in modo strano, ‘all’antica’, e sembrava
stesse cercando qualcosa, ‘una pista
perduta, una rovina leggendaria, un passaggio segreto, forse la strada
proibita’. E’ scomparso, si ride di lui, come di un folle. Perché se cercava
la mitica Frontiera, era pazzo: si sa che la Frontiera non esiste, c’è solo la
sua leggenda. E per tutti quelli che vivono in Abistan è meglio non porsi
domande, accontentarsi di quello che viene loro detto.
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