Voci da mondi diversi. Area germanica
seconda guerra mondiale
FRESCO DI LETTURA
Ernst Lothar,
“Sotto un sole diverso”
Ed.
e/o, trad. M. Pesetti, pagg. 416, Euro 15,30
Lo abbiamo sempre
chiamato Alto Adige, senza farci troppe domande. Anzi, stupendoci della
testardaggine con cui gli abitanti di quella regione all’estremo nord d’Italia,
sul confine con l’Austria, continuavano a parlare tedesco, ostentando un viso
duro e rifiutandosi di capire quando veniva loro rivolta la parola in italiano.
E invece eravamo noi a non capire.
Che la Storia non si fa con decisioni
prese a tavolino, che non si cancella il passato con una linea di matita
che traccia nuovi confini, che non si può proibire, da un giorno per l’altro,
di parlare la propria lingua e imporne un’altra, che è ridicolo cambiare non
solo la toponomastica ma addirittura i cognomi delle famiglie che hanno vissuto
centinaia di anni, se non di più, in un luogo. Non Sud Tirolo, ma Alto Adige,
non Bozen, ma Bolzano, non Brixen, ma Bressanone.
Il romanzo di Ernst
Lothar, “Sotto un sole diverso”, ci porta in Sud Tirolo alla fine degli anni
‘30, quando Hitler ha iniziato le prove generali per scatenare l’inferno in
Europa. Per la famiglia Mumelter di Bolzano, intagliatori per tradizione, l’inferno
era già iniziato. Fino all’avvento del fascismo la regione che era stata
bottino di guerra italiano aveva potuto mantenere le sue caratteristiche su
espressa volontà di re Vittorio Emanuele III, deciso a rispettare le autonomie
e le tradizioni locali.
La forzata
italianizzazione dell’Alto Adige (proibita la denominazione Tirolo o sud
Tirolo) incominciò con la riforma
Gentile del 1923: le scuole in lingua non italiana sarebbero state gradualmente
soppresse. Era naturale che i neo-denominati altoatesini esultassero per
l’annessione dell’Austria al Reich, che avessero fiducia nel nazismo, che
sperassero che Hitler avrebbe reclamato anche il Tirolo (90% degli abitanti era
di lingua tedesca) come parte della grande Germania. E invece gli accordi tra
Hitler e Mussolini del 21 ottobre 1939 prevedevano solo due opzioni: o il rimpatrio nel Reich o restare ed essere
italianizzati, senza alcuna tutela linguistica e con la possibilità di essere
trapiantati altrove, in Italia.Andreas Hofer, eroe tirolese |
Questa breve
spiegazione storica è parte integrante del romanzo di Lothar, è strettamente
intrecciata alla trama, non c’è una pagina in cui non venga ricordato il sopruso. E i Mumelter- il nonno
novantunenne, l’antinazista Andreas, la giovane Riccarda (incinta di un
italiano che non ha intenzione di assumersi le sue responsabilità) e Sepp,
invasato ed entusiasta della retorica della croce uncinata come solo un
superficiale diciassettenne può esserlo- sono nelle liste degli ospiti non graditi destinati all’esilio.
Sono anche fortunati nell’immensa sfortuna, perché, grazie alla laurea in
ingegneria di Andreas, verranno mandati in Boemia dove si trova la fabbrica
della Škoda. Ma non lo sanno, il loro viaggio nel treno piombato è un viaggio
nel nulla, lo sferragliare del treno è il conteggio dei chilometri che li
separano dalla loro terra.
Di Ernst Lothar avevo
già letto “La melodia di Vienna”, un
capolavoro. E’ impossibile scrivere due capolavori, ma “Sotto un sole
diverso” è un libro molto bello e Ernst Lothar è uno scrittore straordinario. In quanto ebreo che era dovuto fuggire
dalla Germania avrebbe potuto limitarsi a scrivere dell’immane tragedia della
sua gente sotto il nazismo. Ma non lo fa. Lothar ha un animo grande, la sofferenza di una minoranza etnica
nelle terre incoronate dalle Dolomiti vale tanto quanto quella dei pogrom che
hanno fatto degli ebrei un popolo errante. La spietatezza dei nazisti non è in primo piano in questo romanzo
quanto ne “La melodia di Vienna”, ma c’è: il brutale assassinio dell’insegnante
di francese, le grida che provengono dal campo vicino a Plzen, l’incarceramento
prima di Andreas e poi dell’americana Gwen (colpevole solo di testimoniare la
verità) ne sono una prova.
E’ un’altra crudeltà, più sottile, che prevale, la
crudeltà propria del nazismo di non
tenere in considerazione l’umanità dell’uomo, di pensare che gli esseri
umani sono delle pedine da spostare su una scacchiera (e forse significa qualcosa
che il vecchio Mumelter non avesse voluto cambiare il genere delle sue
sculturine di legno, sostituendo le madonne e i crocefissi con le pedine degli
scacchi). E, tra tutte le vicende del romanzo, la scena che più dolorosamente
ci resta impressa è quella di Lorenz Mumelter, questo grande e dignitoso
vecchio che è andato a chiedere al sacerdote il permesso di uccidersi, che si
aggira per un ultimo saluto alla sua
città, accarezzando i muri, porgendo l’ultimo omaggio ai suoi morti al
cimitero, lasciando l’ultimo mazzetto di fiori su ogni tomba. No, nessuno
dovrebbe vivere un’esperienza del genere. Men che meno a novantun anni. E
allora la guerra può fare questo, può privarci della patria. E, come si resta
orfani di genitori, o di figli, se la parola ‘orfano’ significa ‘privo’, si può restare orfani anche della propria
terra.
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