Voci da mondi diversi. Francia
cento sfumature di giallo
seconda guerra mondiale
Dominique Manotti, “Il
corpo nero”
Ed.
Tropea, trad. Ester Borgese, pagg. 286, Euro 16,50
Titolo
originale: Le corps noir
“Non so se ti rendi davvero conto di che
cosa sono stati questi quattro anni. Abbiamo fatto regnare l’ordine nazista a
Parigi, Dora, vale a dire che abbiamo rubato e ucciso impunemente.”
“Tu, forse, io non c’entro niente, e non
voglio saperne niente.. Io non ho ucciso nessuno. Ho fatto cinema, tenuto un
salotto e sono andata a letto con un ufficiale tedesco accolto da tutta l’alta
società parigina, festeggiato come un’amabile vincitore da tutte le vecchie
carampane della nobiltà. Come direbbe Bourseul, ho fatto l’Europa di domani. Mi
dici che cosa c’è di male in questo?”
L’ultima volta che l’ho incontrata, in
occasione dell’uscita di “Vite bruciate”, Dominique Manotti mi aveva parlato
della sua intenzione di essere “lo
scrittore pubblico della sua epoca”, per raccontare la società come la
vede. Nel nuovo romanzo, “Il corpo nero”, la scrittrice francese, storica di
formazione e insegnante d’università, si allontana dai tempi attuali per
portare alla luce un passato buio che la Francia non ama ricordare
e di cui non può certo vantarsi, quello della seconda guerra mondiale,
regalandoci un altro noir che è tale
per la disperazione e la mancanza di speranza che lo pervade, ma è soprattutto un bel romanzo storico. E’ uno di quei
riusciti romanzi in cui la
Storia giganteggia sullo sfondo e le vicende dei piccoli
personaggi sono d’aiuto per capire quello che i manuali trovano superfluo dire,
o che richiederebbe pagine in più in cui gli eventi risulterebbero frantumati.
E’ il 6
giugno 1944, il D-day, il giorno più lungo della Storia, quello in cui gli
Alleati sbarcarono sulle coste della Normandia. Una data ‘mitica’ per gli
europei che l’hanno vissuta e per la generazione che è cresciuta nell’immediato
dopoguerra, ascoltando i racconti dei padri. Un giorno con un significato di
importanza pari- per le conseguenze- all’11 settembre 2001. Un anniversario da
ricordare. Ogni capitolo de “Il corpo nero” apre con un breve aggiornamento su
quello che sta accadendo sui due fronti
di guerra che premono sulla Germania in un’avanzata implacabile- una sorta
di bollettino, incalzante come una bomba a orologeria.
Parigi è occupata dai
nazisti esattamente
da quattro anni e quello che succede nelle prime pagine del libro è esemplare
di qualcosa che si teme e che purtroppo è diventato un evento comune: molto
prima dell’alba quattro uomini vestiti con cappotti di pelle nera scendono da
un’auto e fanno irruzione in un appartamento. Ne usciranno spingendo avanti a
sé quelli che hanno trovato dentro, c’è pure un inglese in manette. Porteranno
tutti “da noi, in rue de la
Pompe ”. Gli uomini si sono annunciati come ‘polizia tedesca’
e ‘Gestapo’. Vero, ma peggio del vero. Perché sono francesi, sono tra i tanti,
tantissimi, che hanno deciso subito che si poteva non solo sopravvivere, ma
vivere meglio, se si entrava nelle fila
tedesche, danzando alla loro musica. Ladruncoli e malviventi potevano avere licenza di rubare e di uccidere,
anche solo per capriccio. Affaristi, industriali, tutti coloro che sono
rabdomanti di denaro, potevano arricchirsi
spropositatamente tra mercato nero, appropriazioni indebite, commerci
lucrosi. Le belle donne potevano diventare delle mantenute di lusso- dopotutto
i tedeschi non erano neppur male come uomini, alti e biondi con gli occhi color
cielo. Se partivano treni blindati per l’est, se c’era gente che moriva di
fame, se l’ingiustizia e la forza del potere regnavano ovunque- be’, quella era
la guerra, dopotutto. Meglio stare dalla
parte del vincitore e vincere di riflesso. Perché di certo i tedeschi
avrebbero vinto. Di certo avrebbero respinto gli invasori di oltre Atlantico.
Questa è l’atmosfera de “Il corpo nero” (il
titolo si riferisce al colore delle divise naziste ma suona anche oscuramente
minaccioso), sarebbe inutile menzionare tutti i personaggi che ne percorrono le
pagine, rappresentativi di ogni tipo di
collaborazionisti, più o meno spregevoli, più o meno lungimiranti, tanto da
saper cambiare campo con un ultimo voltafaccia. Come Bourseul, che però viene
punito con la perdita del figlio adolescente che si è unito alla Resistenza. O
come Deslauriers, che però ci rimette la vita. Invece l’attrice Dora Belle, ex
prostituta, amante del capitano Bauer del servizio di sicurezza delle SS, aveva
già avuto dei ripensamenti ed era diventata informatrice di Domecq (la spia
gaullista infiltrata nella Buon Costume). Peccato che la figlia quattordicenne
non lo sospettasse neppure e che la disprezzasse come ‘puttana dei tedeschi’ :
la fine di Dora è un paragrafo di tragedia
famigliare dentro la tragedia di un paese che si è venduto al nemico.
Lo stile di Dominique Manotti che, nella
sua asciuttezza, è inconfondibile, è più che mai perfetto per questo romanzo: le frasi sono brevi, le descrizioni
concise e ridotte al minimo, giusto per aiutare il lettore a visualizzare
luoghi e persone. E sembrano secchi
spari, raffiche di mitragliatrice. Come se provenissero dal fronte della
guerra che si avvicina. O come quelli che falciano i francesi anche nelle
strade di Parigi.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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