sabato 31 ottobre 2015

Julia Glass, “L’oscura sacralità della notte” ed. 2015

                                Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
                                                              FRESCO DI LETTURA


Julia Glass, “L’oscura sacralità della notte”
Ed. Nutrimenti, trad. D. Di Marco, pagg. 486, Euro 22,00

         

   Il verso di una canzone di Louis Armstrong spiega il titolo del romanzo di Julia Glass, the bright blessed day and the dark sacred night, la luminosa benedizione del giorno e l’oscura sacralità della notte. Un verso che racchiude in sé tutta la vita, gli alti e i bassi, le felicità e i dolori, quello che sappiamo e quello che ignoriamo, la luminosità del giorno che compensa il buio della notte, benedetto e ben accolto l’uno e altrettanto l’altra nella sua diversità.
Una famiglia al centro de “L’oscura sacralità della notte”, e tutte le traversie ad essa connesse, i segreti che vengono alla luce, gli intricati rapporti famigliari, le esperienze d’amore che nel mondo di oggi non sono più solo quelle di un rapporto uomo-donna, si dipanano nella trama, ci trasportano dalla costa orientale degli Stati Uniti ad un Vermont innevato e poi, quando tutto si è calmato, tutto è venuto alla luce e ogni problema sembra essere risolto, arriva una nuova tempesta- naturale, questa volta, un uragano- che coglie la famiglia allargata riunita a Provincetown ed un’onda anomala distrugge la felicità ritrovata.

     Kit Noonan è il protagonista in questo romanzo in cui i personaggi si affollano. Suo è il dramma interiore che gli farà intraprendere un cammino di ricerca, spinto dalla moglie. Kit è professore di storia dell’arte, al momento disoccupato. Sua madre, una violoncellista molto dotata che ha dovuto adattarsi a fare l’insegnante di musica, lo ha avuto a diciotto anni e non ha mai voluto dirgli chi fosse suo padre. Una donna inquieta, sua madre Daphne. Quando Kit aveva nove anni si era risposata con un vedovo che aveva adottato Kit dandogli il suo cognome, lo aveva lasciato dopo dieci anni per sposarsi nuovamente con un uomo da cui aveva avuto una bambina- un trauma per Kit che non aveva voluto lasciare il padre adottivo. Ora che ha superato la quarantina e che è padre a sua volta, Kit vuole sapere e, davanti al rifiuto categorico della madre di dirgli alcunché, parte per questo singolare ‘viaggio’ di crescita e di ricerca, va dal padre adottivo sperando che questi possa aiutarlo.

    Il romanzo di Julia Glass non è un mystery, non c’è la curiosità di sapere, il lettore sa quasi subito chi sia il padre di Kit. Una narrativa del libro è un flash back sul passato, un ritorno alla magica estate in cui Daphne aveva avuto la fortuna di essere ammessa ad un campo in cui si studiava musica. Dove aveva conosciuto Malachy. L’incanto del primo amore. La cecità del primo amore. Non erano i tempi per sospettare qualcosa. Daphne non aveva l’età per avvertire qualcosa di ‘strano’. A poco a poco la narrativa del presente colma le lacune, ci racconta il seguito di quella estate. Che cosa significa per Kit ritrovare il padre biologico e nello stesso tempo sapere di averlo già perso, anzi, di non averlo mai avuto, in realtà?

    Sono tanti i personaggi e sono tante le storie che si accalcano nel libro. Storie di amore etero e storie di amore gay, storie d’amore di due generazioni prima di quella di Kit e le difficoltà del matrimonio di Kit. Ecco, forse c’è un po’ troppo nel romanzo di Julia Glass. Si ha la sensazione che, se alcune delle storie collaterali fossero state tagliate, la luce del riflettore avrebbe illuminato con più forza la storia centrale che invece si diluisce nelle altre. E, se Kit è inteso per essere il protagonista, le nostre simpatie vanno però al personaggio della madre di Malachy, Lucinda, un nome che contiene un raggio di luce, una donna che commette errori (chi non ne fa?) ma che ha un cuore grande, che è il perno su cui ruota la famiglia.


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