vento del Nord
fresco di lettura
Sofi Oksanen, “Quando i colombi scomparvero”
Ed. Feltrinelli, trad. Nicola
Rainò, pagg. 357, Euro 19,00
Titolo originale: Kun Kyyhkyset Katosivat
“Andrai a cercare altri dei nostri o rimani
qui a combattere?” mi domandò Edgar.
Voltai lo sguardo verso gli alberi.
C’erano tante cose da fare: bisognava sfiancare l’Armata Rossa che occupava
l’Estonia, trasmettere informazioni sul corso degli eventi agli alleati in
Finlandia. Ricordavo quanto eravamo soddisfatti, di là, nei nostri vestiti
finlandesi nuovi fiammanti; e la sera, tutti in riga, a cantare saa vabaks Eesti meri, saa vabaks Eesti
pind.
Saa
vabaks Eesti meri, saa vabaks Eesti pind, sii libero o mare estone, sii libera
o terra estone- è il canto patriottico che risuona lungo tutto il nuovo
romanzo, “Quando i colombi scomparvero”, di Sofi Oksanen, la scrittrice
finlandese-estone che, durante un’intervista di alcuni anni fa, mi aveva detto
che scriveva dell’Estonia perché pensava che la storia dell’Estonia dovesse essere
riscritta in forma letteraria, perché è una storia che non si trova nella
letteratura finlandese (la Finlandia non riconobbe l’indipendenza dell’Estonia
dopo la caduta della Cortina di Ferro), perché la storia dell’Estonia fa parte
della storia d’Europa. E lei, Sofi Oksanen, figlia di padre finlandese e madre
estone, libro dopo libro, ci racconta questa Storia del piccolo paese
affacciato al Baltico che fu prima occupato dall’Unione Sovietica grazie al
patto Molotov-Ribbentrop del 1939 e poi dai nazisti nel 1941, per essere dopo,
nel 1944, nuovamente occupata dai sovietici. Furono tempi concitati, violenti,
confusi- saa vabaks Eesti meri, saa
vabaks Eesti pind: dove era la libertà? Chi avrebbe aiutato l’Estonia a
conquistare la libertà? Le deportazioni verso la Siberia avevano mostrato che
non c’era alcuna speranza da quella parte, fu per quello che, in un primo
momento, il movimento della resistenza estone appoggiò i tedeschi che vennero
visti come liberatori. Finché iniziarono altre deportazioni, vennero aperti dei
campi di prigionia o di concentramento, a Klooga, a Vaivara. E il movimento dei
Fratelli della Foresta iniziò una sorta di guerriglia.
“Quando i colombi scomparvero” inizia nel 1941 e termina nel 1966. La
narrazione si sposta avanti e indietro, ma è impossibile che il lettore si
confonda: accanto al titolo di ogni capitolo un francobollo segnala l’anno e,
ancora più significativo, quale sia la potenza occupante (ormai, nei nostri
tempi di posta elettronica, tendiamo a dimenticare il profondo significato
storico dei francobolli). Un quarto di secolo attraverso due protagonisti
maschili ed un personaggio femminile. Edgar e Roland sono cugini, quasi
fratelli perché la madre di Roland ha allevato il nipote insieme al figlio ed
Edgar è molto affezionato a lei: quando la voce di un personaggio parla di
‘mammina’ possiamo essere certi si tratti di Edgar. Nel dialogo del primo
capitolo c’è qualche indizio sul carattere dei due, preludio alle scelte che
faranno. Edgar è un voltagabbana. Servile e vigliacco, Edgar cambia nome più di
una volta per confondere le tracce, lavora prima per i tedeschi e poi per i
sovietici, è un informatore, una spia, farebbe qualunque cosa per salvarsi la
pelle. Roland è un nazionalista, negli anni ‘60 scompare, di certo è tra le
fila dei Fratelli della Foresta. Entrambi sono sposati, ma la moglie di Roland
muore nelle prime pagine del libro. Si dice che si sia suicidata, Roland non ci
crede e non si rassegna- è uno dei tanti misteri che verrà svelato alla fine.
La moglie di Edgar è un personaggio tragico- moglie insoddisfatta (troppo
ingenua per capire il perché di quel marito così freddo), diventerà la
fidanzata di guerra di un tedesco e, quando la ritroviamo accanto ad Edgar, è
un’ombra. Il suo nome non viene più pronunciato, è solo ‘la moglie’ che beve ed
è sempre ubriaca, è una figura emblematica che ha perso la sua identità, che
deve sopportare di vivere a fianco di un traditore che (dettaglio orwelliano)
‘riscrive’ la Storia, crea sulla carta, falsificando la realtà, persone adatte
ad attirare gli strali sovietici.
museo dell'occupazione |
Sofi Oksanen ha scritto un romanzo più
complesso dei due precedenti, una storia che parla di patriottismo, di
fragilità umana, di servilismo, di lealtà e di tradimento. Una voce potente e
drammatica che a tratti può risultare didattica nella mancanza di ombre. Un
libro tanto più necessario quanto più è difficile per noi, che poco o nulla
sappiamo di ‘quella’ Storia, comprenderlo appieno.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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