Voci da mondi diversi. Cuba
la Storia nel romanzo
Recensione e intervista a Leonardo Padura Fuentes, autore de "Il romanzo della mia vita"
Se la letteratura è la memoria di
un paese, come dice un personaggio de “Il romanzo della mia vita” di Leonardo
Padura Fuentes (Ed. Tropea, pagg. 374, Euro 17,50) , è la memoria della Cuba
dell’800 che questo libro ci restituisce, ancora sotto il dominio spagnolo ma già
percorsa dallo stesso anelito d’indipendenza che serpeggiava in America e in
Europa, con poche famiglie dalle enormi ricchezze accumulate con il traffico
degli schiavi. Due i filoni della trama, che scorrono parallelamente, su
quattro livelli temporali. La storia del presente, che introduce quella del
passato, riguarda lo studioso e poeta Ferdinando Terry, richiamato a Cuba
dall’esilio dalla lettera di un amico che gli annuncia che, forse, è stato
rintracciato il manoscritto dell’ultimo romanzo autobiografico di José Maria
Heredia, il grande poeta dell’800 su cui Ferdinando ha scritto la tesi che gli
ha fatto ottenere la cattedra universitaria. Ed è così che prendono avvio le
due storie, quella di Ferdinando alla ricerca del libro scomparso, narrata in
terza persona con dei flashback sul suo passato, e quella in prima persona, ed è
“Il romanzo della mia vita” di José Maria Heredia: la storia del giovane poeta
genio, nato nel 1803 e morto di tisi nel 1838, con dei flash forward, delle
anticipazioni, di nuovo in terza persona, sulle sorti della sua autobiografia,
affidata da suo figlio ai massoni, sotto giuramento che non sarebbe stata
pubblicata prima che fossero passati
cento anni dalla morte del poeta.
Le vicende del poeta famoso servono da
specchio per quelle dello scrittore moderno, tanto sono simili le une alle
altre- gli amici, l’amore, la mancanza di libertà, l’arresto, l’esilio, il
ritorno in patria per poi doversene allontanare un’altra volta. E, centrale in
entrambe le storie, la nostalgia struggente dell’esule, la paura di aver perso
l’ispirazione insieme alla lingua e alla patria, e il tema del tradimento, con il
desiderio di scoprire chi è stato a denunciarli e nello stesso tempo il timore di
venire a sapere che è stato qualcuno che si è amato. Un romanzo complesso e profondo, perfettamente costruito,
che riesce a gettare un ponte tra passato e presente, tra l’atmosfera politica
e letteraria della Cuba monarchica, classista e razzista dell’800, e quella
tormentata e discussa, tra entusiasmi e delusioni, della Cuba di oggi. Stilos
ha intervistato lo scrittore cubano Leonardo Padura Fuentes.
Un personaggio del suo romanzo dice che si può sentire la necessità di
scrivere un romanzo sull’800 per distanziarsi dalla realtà, per essere più
libero: è per questo che lei ha scelto di scrivere un romanzo sul poeta
Heredia?
Sì, un personaggio del
libro afferma che la distanza dalla materia trattata può servire come spazio di
libertà e, tuttavia, a volte il romanzo smentisce questa affermazione, perché
in parte si parla dell’800 cubano e in parte si parla della realtà
contemporanea, e quando si parla dell’800 è come se la realtà contemporanea si
ripetesse un’altra volta. Credo che questo personaggio esprima la possibilità
di non compromettersi muovendosi nel passato, e questo può essere un modo
intelligente di ingannare la censura. Ma, nel momento stesso che si formula
questa idea, nel romanzo si fa una critica del presente e della censura del
presente.
La censura: c’è tuttora a Cuba l’autocensura di cui parla Heredia
nell’800?
Credo che tutti gli
scrittori del mondo soffrano in qualche modo più o meno evidente di
autocensura, anche se non sempre è politica- forse quella politica si vede e si
sente di più. Uno scrittore italiano può autocensurarsi, forse, per quello che
riguarda il tema religioso, o uno scrittore nordamericano può autocensurarsi
riferendosi al tema razziale. Gli scrittori sanno che ci sono determinati
limiti che è meglio non trasgredire perché il risultato sarebbe sfavorevole per
la sua opera, per la sua persona, per il suo prestigio. Nel caso cubano si
opera un’autocensura riguardo al tema religioso, a quello razziale o a quello
sessuale. Oggi in Cuba sarebbe di cattivo gusto riferirsi in maniera aperta
all’omosessualità, però l’essenza dell’autocensura a Cuba è politica e noi
scrittori cerchiamo di mantenerci su una
linea di equilibrio per non cadere negli eccessi che finirebbero per
trasformare la nostra opera in un libello politico a favore o contro il regime.
Io preferisco che la politica stia nel subtesto più che nel testo della storia,
nonostante che questo romanzo sia un romanzo essenzialmente politico.
Fernando Terry, lo scrittore moderno che è l’altro personaggio
importante del romanzo, vede la sua vita riflessa in quella del poeta Heredia:
che cosa c’è di lei in Fernando Terry?
Molto, c’è molto perché
abbiamo vissuto lo stesso periodo storico di Cuba, abbiamo sofferto entrambi
alcuni colpi della censura e alcune repressioni, e siamo entrambi scrittori. La
storia personale di Fernando, invece, non coincide con la mia anche se avrebbe
potuto coincidere. Se negli anni universitari, per qualcuna delle molte ragioni
allora sufficienti per emarginare uno studente, mi fosse successo qualcosa di
simile a quello che accadde a Fernando Terry, forse sarei finito in esilio come
lui e mi sarei riempito di rancore, di nostalgia, di dolore per la distanza e
per la perdita del mondo a cui appartengo. Per questo la caratteristica
principale di Fernando non è che sia un intellettuale e uno scrittore, ma che
sia un esiliato: questo è il grande dramma della sua vita.
Personalmente sono
molto sensibile a quello che ha significato l’esilio per due milioni di cubani
negli ultimi 50 anni, perché due milioni sono un quinto della popolazione di
Cuba e credo che l’Italia possa capire
molto bene che cosa significhi andarsene via lasciando i propri costumi, gli
amici, la religione, perché gli italiani o i cubani, anche quando hanno avuto
successo all’estero, si sono portati dentro una ferita: noi apparteniamo a una
cultura in cui la vicinanza ai costumi è molto forte e ogni allontanamento è un
esilio forzato.
L’angoscia dell’esilio, nei personaggi del romanzo, è pari a quella di
perdere l’ispirazione: perdere l’ispirazione, perdere la patria, significa
perdere la propria identità?
Ogni scrittore è un mondo a sé stante, per
alcuni la lontananza è una benedizione, li aiuta a veder meglio il loro mondo,
per altri significa la perdita della capacità di creazione perché, come nel mio
caso, ho bisogno dell’ambiente, della lingua, della forma di vita che hanno a
che fare con la mia cultura e la mia identità. E credo che la parola che lei
usa, “angoscia”, sia quella più adeguata. Sento l’esilio come angoscia e ho
percepito la stessa cosa per molti cubani, anche quando migliorano le
condizioni politiche, economiche e sociali. E’ per questo senso di mancanza,
che è come una malattia, che alcuni, come Fernando Terry, decidono di tagliare
radicalmente con tutti i legami e cercano di iniziare una nuova vita, ma in
realtà l’esilio è un’angoscia.
Il tema della schiavitù: si vuole parlare anche di un’altra schiavitù
in questo romanzo?
Forse questa è una cosa che è affiorata
dal mio subconscio, alludendo ad altre schiavitù di tipo intellettuale, ma
vivere sotto un regime tirannico non è certo paragonabile alla schiavitù dei
neri. Il problema è che, in un paese in cui la schiavitù fu un’istituzione
attiva fino al 1880, questo è un tema di alta sensibilità, perché la schiavitù nera
a Cuba fu molto crudele e fu uno dei fattori che ne decisero la storia. Le
conseguenze della schiavitù furono duplici, da una parte essa fu la fonte della
grande ricchezza cubana dei secoli XVIII e XIX, ma d’altra parte l’enorme
numero di schiavi rese impossibile lottare per l’indipendenza di Cuba fino a
una cinquantina d’anni dopo che l’indipendenza era già stata ottenuta dagli
altri stati. Cuba aveva davanti l’esempio di Haiti che spaventava la borghesia
cubana che era l’unica che poteva portare avanti il progetto indipendentista.
Nel romanzo questo tema molto complesso è solo sfiorato, ma non si può parlare
dell’epoca di Heredia e dell’indipendenza di Cuba senza parlare della schiavitù
e del traffico degli schiavi.
Uno dei personaggi dice che la letteratura è la memoria di un paese: è
questo che spiega la gravità di un falso letterario, più ancora di un falso
d’arte?
Ha ragione quando dice
che un falso letterario è più grave. La cultura cubana è una manifestazione
spirituale di gran forza e la borghesia cubana del secolo XIX comprese che il
fine giustificava i mezzi e, anche se non è storicamente dimostrato, appoggio
la teoria secondo cui quella che è diventata l’opera di base della poesia cubana,
il poema epico di Silvestre de Balboa “Lo specchio della pazienza”, è un falso
letterario. Il problema, piuttosto complicato e unico, è che la borghesia aveva
bisogno di creare una cultura per poi creare un paese, lottando contro due
ostacoli, il potere coloniale spagnolo e gli schiavi neri. Gli schiavi neri
erano il 55% della popolazione e, se la borghesia lottava contro il potere
coloniale spagnolo, gli schiavi si sarebbero sollevati combattendo sia contro
gli spagnoli sia contro la borghesia cubana. Per questo il processo storico
della cultura cubana deve essere visto connesso alla sua propria storia.
Appare chiaro nel romanzo che la massoneria ha avuto un importante
ruolo politico a Cuba.
I massoni a Cuba dicono
che la massoneria è stata l’istituzione civile più importante della storia di
Cuba. E’ certo che tutto il movimento indipendentista e in buona parte il
movimento intellettuale cubano dal 1800 fino al 1950-1960 si fondarono sulla
massoneria. Quando andavamo a scuola, ci veniva detto che tutti i padri
fondatori della patria furono massoni. Il primo grande movimento
indipendentista nasce nella fucina della loggia massonica. E’ dalla loggia
massonica che originarono le guerre indipendentiste del 1868 e del 1895. Oggi
la massoneria rappresenta la riserva etica della società cubana. Quando
qualcuno vuole essere iniziato alla massoneria, non gli si domanda la
filiazione religiosa o politica, si valutano solo i suoi valori morali perché
la pietra su cui si sostiene la massoneria è la fraternità: tutti gli uomini
sono fratelli e hanno gli stessi diritti e le stesse responsabilità. Io credo
che la massoneria possa essere un modello per la società contemporanea ed è per
questo che ho voluto rendere un omaggio alla massoneria con il mio romanzo.
Nell’edizione originale del romanzo c’è un cambiamento di linguaggio
tra il romanzo autobiografico di Heredia, che si suppone scritto nell’800, e la
parte che riguarda Ferdinando Terry?
Sì, il romanzo di Heredia è scritto in un
falso stile del secolo XIX: utilizzo parole ed espressioni della letteratura
dell’800 per un romanzo melodrammatico tipico dell’epoca di Heredia, un romanzo
romantico, sul modello di Manzoni o di Stendhal, in cui il lettore trovi una
formula che riconosce. D’altra parte quando scrivo la storia dei massoni
utilizzo la retorica barocca del linguaggio massonico, e nella parte di Terry
uso la lingua contemporanea. Sono tre momenti diversi con tre diverse forme di
linguaggio.
la recensione e l'intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
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