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incroci di civiltà
Olivier Truc, “L’ultimo lappone”
Ed.
Marsiliio, trad. Raffaella Fontana, pagg. 446, Euro 18,00
Titolo
originale: Le dernier Lapon
Klemet era perduto. Non voleva ammetterlo,
non subito, ma scoprendo quel tamburo indecifrabile aveva misurato l’ampiezza
del fossato che lo separava e lo aveva sempre separato dalla cultura sami.
Decine di ricercatori avrebbero ucciso padre e madre per avere quel tamburo tra
le mani. A Klemet invece non diceva niente. Capì in maniera brutale che era
cresciuto lontano dalla cultura sami e che era estraneo al cuore di quella
cultura e alla sua storia quanto una
Nina qualsiasi.
Ci aspetteremmo un autore del Nord per
un romanzo che si intitola “L’ultimo lappone”. E invece Olivier Truc è un
giornalista francese che vive da molti anni a Stoccolma, inviato di Le Monde e Le Point per la Scandinavia. Questo è solo il primo dettaglio
singolare per un romanzo singolare che ci irretisce fin dalla prima pagina con
una scena ambientata nel 1693 nella Lapponia centrale: un lappone cerca di
sfuggire ai suoi inseguitori, tra i quali c’è un uomo di chiesa che gli lancia
contro una maledizione e l’augurio di bruciare all’Inferno. La trama de
“L’ultimo lappone” si svolge, però, nel 2011, ma, se non ci venisse detto, se
non ci fossero motoslitte, quad, telefoni cellulari e tute termiche, penseremmo
che il tempo si sia fermato in Lapponia, perché le condizioni di vita degli allevatori
di renne sono immutate, anche se ormai sono pochissimi quelli rimasti, che
hanno l’ardire di sfidare i 40° sotto zero, le tormente di neve, la solitudine,
il disagio di abitare nei ‘gumpi’, di difendersi dal freddo con abiti fatti con
pelle di renna.
Lo sgocciolare del tempo: è questo il
secondo dettaglio singolare e affascinante del romanzo. Il passare del tempo,
che introduce i vari capitoli, viene indicato in maniera quanto mai efficace
non tanto dalla data, ma dall’ora in cui il sole sorge e tramonta, dal numero
di ore di luce in Lapponia. Si inizia il 10 di gennaio quando ancora perdura la
notte polare e il poliziotto Klemet viene colto dal timore irrazionale che il sole possa anche non
apparire affatto, e la fine di tutto ha luogo il 28 di gennaio: “Il sole sorge
alle 9,02 e tramonta alle 14,02. Cinque ore di luce.” Niente come questo
conteggio- 27 minuti di luce l’11 di gennaio, già due ore e quindici minuti tre
giorni dopo, tre ore e ventisette minuti il 20 di gennaio- potrebbe darci un’idea
della diversità di una regione in cui si avverte un alito di primavera quando
si vede il sole per un paio di minuti in più e la temperatura si alza ai 20° sotto zero.
Nella notte tra domenica 9 e lunedì 10 di
gennaio è stato rubato un tamburo dal museo di Kautokeino, nell’estremo nord
della Norvegia: per i lapponi è più che il furto di uno strumento tradizionale,
è il furto della loro identità, l’ennesimo tentativo di discriminarli, di
assimilarli agli altri abitanti della Scandinavia, di annullare la loro
diversità. Ormai esistono soltanto settantun tamburi originali- erano gli
strumenti degli sciamani, una maniera per comunicare con l’aldilà, e i disegni
sulla pelle dei tamburi avevano un significato simbolico, raccontavano una
storia.
tamburo sciamanico |
Il
giorno dopo il furto viene ritrovato il cadavere di un piccolo allevatore di
renne, si pensa ad un regolamento dei conti, all’uomo sono stati mozzati gli
orecchi. Ad occuparsi dei due casi- che appaiono presto collegati- sono un
giovane poliziotto sfottente e odioso e due membri della polizia delle renne,
il corpo speciale che esiste solo in Lapponia. E questi sono due personaggi
accattivanti di cui ci ricorderemo: Klemet è l’unico sami ad essere entrato nel
corpo di polizia e Nina è l’unica donna poliziotto della regione. Klemet è
abituato a ingoiare il disprezzo con cui gli si rivolge il giovane collega, a
sorvolare sulle insinuazioni degli altri sami che lo accusano di aver
dimenticato le sue origini; Nina è aperta alla nuova esperienza, non ha
pregiudizi, è affascinata da quello che apprende su quella popolazione
autoctona, dagli joik che non sono nenie lamentose e incomprensibili ma un modo
di tramandare oralmente una storia, la loro
Storia. Nina subisce anche il fascino selvaggio di Aslak, il migliore e più
‘puro’ allevatore di renne, il lappone che vive lontano dalla civiltà, che
conosce la tundra meglio di chiunque, che è in grado di guidare un losco
francese alla ricerca di una leggendaria miniera...
“L’ultimo lappone” è un ottimo esordio narrativo
(ne verrà tratto un film, immaginiamo la grandiosità degli scenari) perché ci
trasporta in un altro mondo riuscendo a intrecciare la trama propria del
thriller, con la ricerca del colpevole di un crimine, con la storia di una
popolazione di cui sappiamo poco e che abita in una vasta area dai confini
incerti, soggetti a spostamenti nel corso degli anni. Interessanti i protagonisti, mozzafiato i paesaggi di neve
e di gelo e le rutilanti aurore boreali.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
lo scrittore Olivier Truc
Bel post! Dovevo scrivere due righe su questo romanzo, che ho letto qualche anno fa, e cercavo sul web un riassunto o un commento per rinfrescarmi la mia memoria. Questo articolo mi ha fatto rivivere tutte le sensazioni e le emozioni che avevo provato durante la lettura di questo bellissimo giallo.
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