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incroci di civiltà
Jhumpa Lahiri, “La moglie”
Ed. Guanda, trad. Maria Federica
Oddera, pagg. 418, Euro 18,00
Titolo originale: The Lowland
L’effetto era inquietante. Subhash ebbe l’impressione che la sua
presenza sulla terra venisse negata nell’attimo stesso in cui se ne stava là in
piedi. Fu come se gli fosse proibito un accesso, se il passato si rifiutasse di
accoglierlo. Si limitava a ricordargli che il luogo arbitrario dove era
approdato, in cui si era costruito una vita, non gli apparteneva. Come Bela,
l’aveva accettato e nello stesso tempo si era tenuto a distanza. In mezzo a
quella gente, a quegli alberi, alla particolare geografia del territorio che
aveva studiato e imparato ad amare, Subhash restava sempre e soltanto un
ospite. Forse il peggior genere di ospite, quello che non vuole saperne di
andarsene.
Calcutta, e poi Rhode Island. India e
Stati Uniti. Subhash, un uomo buono e generoso. Suo fratello Udayan, di
quindici mesi più giovane, il suo doppio vivace, irruento, ribelle. Una donna, Gauri,
moglie di Udayan e poi, rimasta vedova, di Subash. Una bambina, Bela, figlia di
Gauri e Udayan. Sono questi i protagonisti del nuovo romanzo di Jhumpa Lahiri,
intitolato “La moglie”. E’ lei, la moglie prima di uno e dopo dell’altro
fratello, la protagonista assoluta? Di certo è il personaggio che, insieme al
primo marito, il fratello minore Udayan, suscita più interrogativi. Di certo
questo romanzo che potrebbe essere una storia banale, con qualche variante
facile da immaginare- una donna, due uomini, il ricordo di uno, l’incapacità di
amare l’altro, una figlia che cresce pensando che lo zio sia il suo vero padre
e poi, scoprirà che non lo è, glielo diranno?, come reagirà?-, acquista peso e
spessore mentre proseguiamo la lettura e le reazioni dei personaggi davanti ai
casi della vita rivelano una profondità di indagine psicologica che trasformano
l’intero romanzo.
Tutto ha inizio a Calcutta sul finire degli
anni ‘60 quando i due fratelli, entrambi brillanti studenti, prendono strade
diverse: Subhash parte per proseguire gli studi negli Stati Uniti, mentre
Udayan diventa un attivista nel movimento naxalita di ispirazione maoista.
I
genitori non hanno la minima idea di quanto sia coinvolto Udayan, tantomeno lo
può immaginare Subhash attraverso le rare lettere del fratello. In una delle
ultime Udayan gli diceva di essersi sposato senza dilungarsi nei particolari,
senza accennare all’opposizione dei genitori per questo matrimonio con una
ragazza che loro non avevano scelto, una studentessa del tutto diversa dalla
tipica moglie indiana. Poi Subhash aveva ricevuto la notizia della morte del
fratello. Un fulmine. I dettagli di questa morte (Udayan era stato ucciso dalla
polizia che gli aveva sparato alle spalle) vengono fuori a poco a poco nel
romanzo, dapprima nello scarno racconto della moglie, poi in flash back in cui
il tempo dei verbi è il presente, come in una ripresa dal vivo degli
avvenimenti. E soprattutto affiora a poco a poco l’intera verità: è un eroe
Udayan? un martire? È valsa veramente la pena che Subhash vivesse la sua intera
vita all’ombra del fratello? E Gauri, qual è stato il suo ruolo in quanto è
successo?
Gauri non è un personaggio amabile. Se
dapprima proviamo pena per lei, giovane, vedova, incinta, invisa ai suoceri,
finisce poi per irritarci, incapace di mostrare almeno gratitudine per l’uomo
che l’ha ‘salvata’, sposandola, portandola con sé in America, facendo da padre
a sua figlia che lo adora. Anche perché Gauri non ha alcun istinto materno e le
sue scelte la porteranno in tutt’altra direzione, senza curarsi di quanto
possano ferire il secondo marito, senza considerare le conseguenze
dell’abbandono materno per una bambina di dodici anni.
La storia dei due fratelli che sposano la stessa donna è diventata una
storia complessa- complesso lo sfondo della difesa dei diritti dei contadini in
India, sfaccettati i rapporti famigliari, tra i due fratelli, tra questi e
Gauri, tra Gauri e Subhash e la bambina Bela. E sempre, di sottofondo, un tema
caro alla Lahiri, quello dell’estraneità, dell’appartenere a due mondi e a due
culture, del restare sospesi tra i due senza essere certi di quale sia
veramente il nostro e quale sia, quindi, la nostra identità.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
la scrittrice Jhumpa Lahiri
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