ricorrenze
seconda guerra mondiale
INTERVISTA A James Holland, autore de
“L’anno terribile. Maggio
1944-Aprile 1945”
Quando pensiamo ad uno storico,
in genere ci si presenta agli occhi della mente una persona di una certa età,
quasi che una parte degli anni della storia della mondo gravassero sulle sue
spalle. James Holland è giovane- è nato nel 1970- ed è inglese: è per questo
che abbiamo letto con curiosità e con immenso piacere il suo libro sull’anno
terribile di guerra, il 1944-1945,
in Italia. Perché ci sembrava che uno sguardo più fresco
e straniero, meno condizionato da luoghi comuni e lotte interne, potesse
‘regalarci’ qualcosa sulla storia d’Italia. Così è stato, e gli abbiamo rivolto
qualche domanda per sapere di più su di lui e sul suo interesse per la Storia e per l’Italia.
Immagino che Lei sapesse, quando ha iniziato a scrivere della seconda
guerra mondiale, che si sarebbe dovuto confrontare con il famoso storico
inglese Anthony Beevor che, tuttavia, pareva essere più interessato all’area
settentrionale della guerra anche se ha scritto un libro sulla guerra a Creta,
più o meno nello stesso periodo in cui Lei scriveva di Malta. Era preoccupato
dal dover competere con lui?
Niente affatto. Anzi, nella mia ‘vita
precedente’ lavoravo alla casa editrice Penguin e mi sono occupato proprio
della promozione del libro “Stalingrado” di Anthony Beevor. Anthony è un mio
amico, mi ha telefonato proprio ieri, sapeva che ero in Italia per la
pubblicazione de “L’anno terribile”. Ha un atteggiamento da vecchio zio nei
miei confronti ed io gliene sono grato. E poi abbiamo anche fatto dei viaggi di
ricerca insieme: siamo stati insieme in America, quando lui doveva fare ricerche
per il suo libro “D-Day” ed io per “L’anno terribile”. Andavamo insieme
all’archivio, e poi parlavamo di quello che avevamo scoperto. Per esempio,
quando ho trovato il carteggio di William Donovan che sembrava non essere mai
stato aperto da nessuno- e gliel’ho detto- eravamo esaltati tutti e due. Il mio
stile è diverso da quello di Anthony, e poi ho ancora molta strada da fare
prima di raggiungere il suo livello.
E che cosa l’ha portata a scegliere questo anno particolare di guerra
in Italia, a parte il suo dichiarato amore per l’Italia?
Be’, avevo già scritto
un libro sulla guerra nel Nord Africa e poi la “Fortezza Malta” sull’assedio di
Malta: non è che volessi fare una trilogia, ma sembrava la cosa più naturale
proseguire con l’Italia. E inoltre volevo scrivere su quello su cui era scritto
di meno e catturare l’intero quadro. Per coincidenza, all’epoca il primo ministro
tedesco era in visita in Italia, per chiedere scusa per gli eccidi fatti
durante la guerra dai nazisti: io non avevo mai sentito parlare di Marzabotto e
sono rimasto scioccato.
Era il più terribile massacro di civili che fosse
avvenuto in Europa durante la guerra. E io non ne avevo mai sentito parlare! A
volte c’è come un grilletto che scatta…e vuoi sapere tutto. Sono andato a
Marzabotto, ho consultato l’archivio, ho parlato con partigiani e
sopravvissuti…da qui è venuto tutto il resto…
Considerando la sua giovane età, forse i suoi nonni hanno combattuto
nella seconda guerra mondiale: il suo interesse per questo evento viene anche da
ricordi di famiglia?
No, per nulla, perché entrambi i miei nonni
hanno preso parte alla prima Guerra mondiale, e neppure come combattenti in
Europa, ma come ausiliari, a casa. Ero poco più che bambino che già avevo
interesse per il periodo tra le due guerre, per gli anni ‘20 e ‘30 quando si
aveva la sensazione che una nuova società emergesse dalle perdite della prima
guerra mondiale. Ma il periodo d’oro finì con l’inizio della seconda guerra
mondiale.
Poi mi capitò di vedere in volo uno Spitfire e l’ho trovato
fantastico: ho deciso di scrivere un romanzo ambientato prima della guerra per
continuare con
Quello che rende il suo libro diverso da altri che ho letto sulla
guerra è la quantità di testimonianze personali: come ha rintracciato queste
persone? Ormai devono essere tutti piuttosto anziani: ci si poteva fidare dei
loro ricordi? Non sarebbero potuti essere ricordi indotti?
Buona domanda- perché è
difficile, intervisti delle persone e ti accorgi che dicono quello che pensano
di ricordare, ma invece è il ricordo di altri. Allora quello che si deve fare è
cercare delle conferme, fare dei raffronti. E’ chiaro che non vale la pena di
fare questo lavoro di confronto per dei ricordi generici, su come si viveva, ad
esempio, ma se si trattava invece di eventi importanti, devi per forza trovare
una conferma. I diari di guerra sono utilissimi in questo senso, basta poco per
sapere se ci si può fidare della fonte che abbiamo ascoltato. E’ stato
difficile vagliare quanto diceva Gianni Rossi (che apparteneva al gruppo Stella
Rossa), perché così poco è documentato sui partigiani, vivevano in grotte sulle
montagne…Si cerca allora un confronto con quanto raccontano altre persone. E
appena si ha sentore di non potersi fidare, si deve smettere di ascoltare e
interrogare. Viene un certo fiuto, alla lunga.
Senza fare nomi, quale delle persone che ha incontrato di persona ha
trovato la più “simpatica” e quale la più odiosa?
Ma posso benissimo fare nomi: William
Cremonini, la guardia del corpo di Pavolini, è stato simpaticissimo. Cordiale,
modesto, diretto, non aveva mai l’aria di farmi una lezione. Rispondeva in
maniera diretta, si fidava di me. Altri, di quelli che erano appartenuti ai
Giovani Fascisti, tendevano a farmi una lezione e la cosa non mi interessava. Le
risposte e le motivazioni di Cremonini erano credibili. Il più odioso? Non
saprei, perché le persone che non mi piacevano erano tutte morte. Persino Wolff
per alcuni aspetti era OK. Le sue azioni contro i partigiani erano più modeste
di quelle di Kesselring. Si pensa a Kesselring come ad un comandante onorevole
e invece era orribile. L’approccio di Wolff era di placare la situazione più
che di sparare e uccidere.
Kesselring |
Il titolo inglese che ha scelto, Italy’s
Sorrow, è molto bello: lo ha scelto di proposito, per rettificare in un
certo qual modo l’idea generale che si ha dell’Italia, specialmente riguardo al
suo comportamento durante la
Guerra ?
Con il titolo Italy’s Sorrow volevo enfatizzare il trauma dell’Italia ignorato
dagli storici britannici, che per lo più hanno sempre trascurato di vedere la Guerra dalla prospettiva
degli italiani. E’ vero che c’era un certo disprezzo da parte degli Alleati per
gli italiani, anche se poi, quando capitava loro di fermarsi in un posto e
conoscere la gente del luogo, ne erano conquistati. Perché finché non conosci
qualcuno, l’altro è solo una faccia. Dopo che l’hai conosciuto diventa una
persona.
Fra le righe mi è sembrato di leggere una classifica dei generali nelle
sue simpatie. Mi è sembrato anche che Lei abbia cercato di fare una distinzione
tra le azioni tremende di rappresaglia da parte dei tedeschi nei confronti dei
civili e il loro valore in quanto soldati e strateghi…
Certo, cerco di entrare nelle loro teste…Ho
cercato di pensare che cosa avesse portato questa gente a fare quelle cose
tremende. E’ importante capire la motivazione per noi che siamo ancora
coinvolti nelle guerre, in Iraq e in Afghanistan. Avevo sempre letto dei
nazisti come mostri- e di conseguenza pensato a loro in questi termini, ma la
grande maggioranza era formata da ragazzi di 19, 20, 21 anni, presi in qualcosa
al di là della loro comprensione. Se sei al fronte a combattere e vivi una
situazione dura, e hai già da combattere contro delle forze superiori alle tue,
devi tenerli a bada e ancora hai da affrontare i partigiani che ti colpiscono
alle spalle…vuoi solo sopravvivere e un modo per sopravvivere è uccidere tutti,
bruciare case e distruggere villaggi. Da un punto di vista tedesco, come fai a
distinguere chi è partigiano e chi non lo è? E una cosa sembrava certa: i
partigiani non potevano resistere in montagna senza l’aiuto della popolazione.
E’ impossibile marcare il confine tra gli effetti della guerra e la volontà di
sopravvivere. Si deve anche tener conto dell’indottrinamento: si diceva che i
partigiani erano tutti comunisti come quelli che avevano combattuto in Russia,
e molti di quei soldati che ora combattevano in Italia avevano fatto la
campagna di Russia e avevano avuto a che fare con i partigiani russi…
Nel suo libro ho trovato un dettaglio per me nuovo: ho sempre letto del
massacro di Marzabotto, mentre Lei sceglie di parlare di tutti i crimini
commessi nella zona di Monte Sole, sottolineando in particolare la strage
compiuta nel cimitero di Casaglia. C’è una motivazione storica dietro questa
scelta?
Sì, è più corretto
parlare dei massacri e delle rappresaglie fatte sul Monte Sole- Marzabotto è il
nome del comune sotto cui si trovavano tutti gli alti paesi e villaggi dove si
sono verificati i rastrellamenti e gli eccidi: 900 persone furono uccise in
quell’area. E poi, per dei lettori inglesi il nome Monte Sole suonava meglio,
era un nome che avrebbe perseguitato la memoria, molto più di Marzabotto.
Via Rasella, oggi |
Via Rasella è paragonabile ad un attentato
terrorista. Via Rasella segna il momento in cui inizia la linea dura dei
tedeschi. Via Rasella ha scatenato un nido di vespe, con Hitler che urlava che
si dovessero uccidere 50 italiani per ogni tedesco morto- e preciso che non è
vero che fosse mai stato fissato il numero accettabile di uccisi in una
rappresaglia. Dopo Via Rasella gli italiani avevano capito perfettamente la
lezione: non si facevano più alcuna illusione sul futuro, finché i tedeschi
erano presenti sul suolo italiano.
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